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Traduzione a cura di Antonio Grego
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Se la somiglianza tra i devastanti scenari di cambio di regime in Iraq
e Libia è di qualche indicazione, il futuro del governo di Bashar
al-Asad in Siria può essere appeso ad un filo sottile. Il nocciolo
della questione – sottolinea questo analista – è che
il cambio di regime in Siria è assolutamente centrale nei piani
degli Stati Uniti per il Medio Oriente. Le poste in gioco sono così
intrecciate che una serie di vantaggi strategici potrebbero essere conseguiti
in un colpo solo, tra cui come minimo l’annullamento dell’influenza
di Russia e Cina nella regione. Questa è un’opportunità
che Washington non vuole lasciarsi sfuggire.
Le immagini trasmesse da Tripoli ieri sera avevano una familiarità
inquietante. I clacson delle auto che suonano, Kalashnikov che sparano
in aria, giovani e bambini che vagano senza meta per le strade disseminate
di cumuli di detriti, cameraman occidentali che con entusiasmo si bevono
le preziose parole pronunciate in un inglese stentato da qualunque abitante
del posto che sproloquiando un misto degli ideali della Rivoluzione Francese
del 1789 e della Magna Carta – le immagini sono fin troppo familiari.
Da qualche altra parte, in un altro periodo, si sono già viste
queste immagini, ma non si era esattamente in grado di identificarle con
un posto preciso. Avrebbero potuto strisciare furtivamente fuori dalla
soffitta della mente, come una fetta di memoria che era meglio dimenticare
o eliminare dalla coscienza? Ora, la mattina dopo, è chiaro che
i canali televisivi stavano solo riproducendo di nuovo le scene di Bagdad
nel 2003.
Il racconto da Tripoli assomiglia stranamente a Bagdad: un brutale dittatore
megalomane, che sembrava onnipotente, viene rovesciato dal popolo, e un’ondata
di euforia si espande su una terra esausta. Appena le celebrazioni scoppiano,
il benefattore e liberatore occidentale cammina al centro della scena,
prendendo puntualmente posizione nel “lato giusto della storia”.
Nel 19° secolo, avrebbe detto in Kenya o in India che stava portando
il “f
ardello dell’uomo bianco”. Ora sostiene
di portare l’illuminazione occidentale a persone che lo stanno chiedendo.
Ma è una questione di tempo prima che la favola si esaurisca e
l’agghiacciante realtà ne prenda il posto. In Iraq abbiamo
visto come una nazione che era avviata verso gli standard di sviluppo
dell’OCSE quasi 20 anni fa è stata ridotta alla miseria e
all’anarchia.
Un colpo di stato
L’opposizione democratica della Libia è un mito evocato
dai Paesi occidentali e dai governi arabi ‘filo-occidentali’.
Ci sono profonde spaccature all’interno dell’opposizione
e ci sono fazioni che vanno dai genuini liberali agli islamisti ad autentici
avanzi di galera. Poi ci sono le divisioni tribali. La lotta interna
tra le varie fazioni sembra una ricetta per un altro turno di guerra
civile, in quanto le fazioni che non hanno né la legittimità
né l’autorità rivaleggiano per il potere. La gravità
delle fratture venne allo scoperto lo scorso mese, quando il comandante
in capo dell’opposizione Abdul Fattah Younes è stato attirato
indietro dal fronte con un pretesto falso, sottratto alle sue guardie
del corpo e brutalmente torturato e ucciso dai ribelli appartenenti
ad una fazione islamista.
I media occidentali hanno iniziato a discutere apertamente il ruolo
svolto dalla NATO, che continuamente è intervenuta per incrinare
l’equilibrio militare a sfavore di Muammar Gheddafi. La rivoluzione
sembra più un colpo di stato istigato dalla Gran Bretagna e dalla
Francia. Ciononostante, l’alleanza occidentale si è impegnata
per un tempo terribilmente lungo che si è esteso per oltre 6
mesi per far entrare i suoi ‘ragazzi’ a Tripoli. Gheddafi
li tiene sulle spine per quanto riguarda la modalità della sua
grande uscita. La verità sconvolgente è che Gheddafi dovrebbe
decidere quando smettere di combattere, pur avendo gli uomini e il materiale
sufficiente a prolungare la sua sfida ancora per un po’. La sua
linea di condotta nelle prossime ore o giorni sarà di grande
importanza per quanto segue. Se ci sarà un grande spargimento
di sangue, probabilmente seguiranno atti di vendetta dei vincitori sui
vinti. In termini politici, l’imminente caduta di Gheddafi non
significa che l’opposizione ha vinto. Spogliata del supporto tattico
della NATO, l’opposizione perderebbe. La domanda principale, dunque,
sarà sul futuro ruolo della NATO in Libia. A latere sorge la
domanda se la NATO ora intende rivolgere l’attenzione verso la
Siria.
La NATO comprende il mondo arabo
Con la missione del ‘cambio di regime’ portata a termine
con successo, la NATO dovrebbe lasciare il teatro libico. La risoluzione
1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata superata.
Ma è troppo aspettarsi il ritiro della NATO. Il petrolio della
Libia è stato il leit motiv dell’intervento occidentale.
La recente tendenza di Gheddafi a rivolgersi a Russia, Cina, Brasile
e India per invitarle a partecipare nel settore del petrolio della Libia,
ovviamente, ha minacciato gli interessi occidentali. La retorica pro-democratica
proveniente da Londra e Parigi è sempre sembrata falsa. L’intervento
della NATO in Libia ha dilatato i limiti del diritto internazionale
e della Carta delle Nazioni Unite. L’alleanza si trova nella posizione
ridicola di cercare la legittimità per la sua continua presenza
in Libia dagli oscuri elementi spacciati per ‘forze democratiche’,
il cui sostegno popolare è minimo, con il pretesto che c’è
ancora del lavoro da fare.
C’è davvero un lavoro che sono in procinto di fare. Potrebbe
anche rivelarsi come un nuovo Iraq e un nuovo Afghanistan. La resistenza
all’occupazione straniera è destinata ad apparire il più
presto possibile. Le tribù libiche sono immerse nel folklore
della resistenza. D’altra parte, un grande paradosso della geopolitica
è che le condizioni di anarchia forniscono esattamente il pretesto
necessario per l’occupazione. La storia della Libia non sarà
diversa da quella dell’Iraq e dell’Afghanistan.
L’intervento dell’Occidente in Libia introduce nuovi modelli
nella geopolitica del Medio Oriente e dell’Africa. Esso ha portato
la NATO nel Mediterraneo orientale e in Africa. Si tratta di un tassello
della strategia statunitense post-guerra per plasmare l’alleanza
atlantica in un’organizzazione globale con la capacità
di agire nei “punti caldi” a livello globale, con o senza
il mandato delle Nazioni Unite. Un ruolo fondamentale per l’alleanza
nel ‘nuovo Medio Oriente’, appare senza ombra di dubbio.
C’è un presagio inquietante nel riassunto delle vicende
libiche fatto dal Vice Primo Ministro britannico Nick Clegg: «Voglio
essere assolutamente chiaro: il Regno Unito non volterà le spalle
ai milioni di cittadini degli Stati arabi che cercano di aprire le loro
società, che cercano una vita migliore».
Stava parlando della Siria? Sicuramente Clegg non stava suggerendo che
la Gran Bretagna è impaziente di “aprire”
le società in Arabia Saudita o nello Yemen e in Bahrain trasformando
le tribù che vivono là fuori in moderni cittadini. Con
l’operazione libica che sta volgendo al termine, tutti gli occhi
si rivolgono ora alla Siria. Il Wall Street Journal ipotizza:
«Il successo libico si ripercuote sulla potenzialmente più
importante ribellione in Siria… Già ci sono segnali che
la Libia stia dando ispirazione ai ribelli che cercano di spodestare
[Bashar al] Assad». Ma poi aggiunge anche un avvertimento,
senza il quale la discussione rimarrà incompleta: «Ci
sono differenze fondamentali tra la Libia e la Siria e il modello libico
sarà difficile da replicare a Damasco».
L’Alta posta in gioco in Siria
Tuttavia, la mentalità occidentale è famosa per la sua
capacità innovativa. Senza dubbio, la Siria occupa il cuore del
Medio Oriente e se scoppia un conflitto lì potrebbe sicuramente
sommergere l’intera regione – tra cui Israele e, possibilmente,
Iran e Turchia. Dall’altra parte, le calibrate mosse occidentali
nelle ultime settimane, pressando per le sanzioni, sono sorprendentemente
simili a quelle adottate nel preludio all’intervento libico. Sono
in corso intensi sforzi per creare una opposizione siriana unitaria.
La riunione tenutasi la scorsa settimana in Turchia – la terza
consecutiva – finalmente ha eletto un ‘consiglio’
che apparentemente rappresenta la voce del popolo siriano. Evidentemente
un punto di vista che si sta accuratamente creando, che potrebbe essere
cooptato ad un certo punto come interlocutore democratico dell’Occidente
in rappresentanza della Siria. La foglia di fico del supporto della
Lega Araba è inoltre disponibile. I regimi arabi ‘filo-occidentali’,
che sono a loro volta autocratici, sono riapparsi in prima linea nella
campagna occidentale come i portabandiera del governo rappresentativo
in Siria.
Probabilmente, l’ostacolo principale sarebbe quello di ottenere
un mandato delle Nazioni Unite per l’intervento occidentale in
Siria. Ma l’esperienza libica dimostra che un alibi si può
sempre trovare. La Turchia può essere incaricata di svolgere
un ruolo in questo caso. Se la Turchia viene coinvolta, l’articolo
5 della carta NATO può essere invocato. Il nocciolo della questione
è che il cambiamento di regime in Siria è fondamentale
per l’avanzamento della strategia statunitense in Medio Oriente
e Washington è improbabile che tolleri ostacoli dei BRICS sul
suo percorso, dal momento che la posta in gioco è molto alta.
La posta in gioco include l’espulsione della leadership di Hamas
da Damasco, la rottura dell’asse siro-iraniano; l’isolamento
dell’Iran e una spinta per il cambiamento di regime lì,
l’indebolimento e declino di Hezbollah in Libano, e la riacquisizione
del dominio strategico di Israele sul mondo arabo. E, naturalmente,
alla radice di tutto ciò sta il controllo del petrolio, di cui
George Kennan aveva detto 60 anni fa «le nostre risorse –
e non loro» [degli arabi] – che sono cruciali per la
continua prosperità del mondo occidentale. Sia esposto al pubblico
ludibrio chi sostiene che i governi occidentali in bancarotta e i loro
cittadini esausti della guerra non hanno più appetito per le
guerre.
Infine, tutto questo significa, in termini geopolitici, il crollo dell’influenza
russa e cinese in Medio Oriente. Un’abile propaganda occidentale
ha iniziato a dipingere la Russia e la Cina come ostacoli al cambiamento
dei regimi nella regione – essendo rimaste sul ‘lato sbagliato
della storia’. Si tratta di un geniale sviluppo ideologico del
grande successo del programma della Guerra Fredda che ha messo il comunismo
contro l’Islam. Il linguaggio del corpo nelle capitali occidentali
sottolinea che senza alcun dubbio gli Stati Uniti non si lasceranno
sfuggire l’occasione in Siria.