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Libia: prematura celebrazione di una
vittoria
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Traduzione di Paola Saliola
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La guerra in Libia è finita. Più precisamente, governi e
media hanno deciso che sia finita, sebbene i combattimenti continuino.
Le aspettative, regolarmente disattese, erano che Moammar Gheddafi sarebbe
capitolato di fronte alle forze schierate contro di lui, e che le sue
stesse milizie l’avrebbero abbandonato davanti alla sconfitta. Quello
che si stava celebrando la scorsa settimana, con i presidenti, i Primi
Ministri, e i media che annunciavano la sconfitta di Gheddafi, probabilmente
diverrà realtà a tempo debito. Il fatto che ancora non sia
così non sminuisce le tendenze ad auto – congratularsi
Per esempio, il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha riferito
che soltanto il 5% della Libia rimane ancora sotto il controllo di Gheddafi.
Sembrerebbe una percentuale insignificante, tranne per questa notizia
apparsa sul quotidiano italiano La Stampa che riferiva che ‘Tripoli
sta venendo ripulita’ quartiere per quartiere, strada per strada,
casa per casa. Nel frattempo, bombe dal cielo stanno cadendo su Sirte
dove, secondo i francesi Gheddafi è riuscito ad arrivare, anche
se non si sa come. La città di Bali Walid, strategicamente importante
– altro possibile nascondiglio nonché una delle due restanti
vie d’uscita che conduce ad un’altra roccaforte di Gheddafi,
Sabha – è stata circondata.
In altre parole, le forze di Gheddafi ancora conservano il controllo militare
di una significativa area del paese. A Tripoli si combatte casa per casa
ma ci sono ancora numerose roccaforti dotate di una forza difensiva sufficiente
da non poter essere penetrate senza un’ adeguata preparazione militare.
Anche se il reale nascondiglio del rais è sconosciuto, la sua cattura
rappresenta l’obbiettivo della maggior parte dei preparativi militari,
incluse le azioni aeree della NATO, intorno a Bali Walid, Sirte e Sabha.
Quando Saddam Hussein fu catturato, si stava nascondendo in un buco nel
terreno, solo e senza armi. Gheddafi sta ancora combattendo e sfidando
gli avversari. La guerra non è finita.
Si potrebbe sostenere che seppure Gheddafi possiede ancora una consistente
forza militare e parte del territorio, non governa più la Libia.
È certamente vero e significativo, ma diventerà ancora più
significativo quando i suoi nemici prenderanno il controllo delle leve
del potere. Non è ragionevole aspettarsi che loro (i ribelli, ndt)
siano in grado di fare questo a pochi giorni di distanza dall’ingresso
a Tripoli e mentre gli scontri continuano. Perciò si pongono degli
interrogativi critici, cioè se i ribelli hanno sufficiente forza
per formare un governo credibile e se ci si deve aspettare nuovi scontri
tra la popolazione (guerra civile, ndt) anche dopo che le forze di Gheddafi
saranno neutralizzate. Semplicemente, Gheddafi sembra essere sul punto
di essere sconfitto ma ancora non è giunto questo momento e la
capacità dei suoi nemici di governare la Libia è in dubbio.
Intervento impeccabile
Dal momento che la fine è ancora lontana, è interessante
considerare perché Barak Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron,
i principali attori in questa guerra, hanno dichiarato all’unisono
che Gheddafi è caduto, implicando con ciò la fine della
guerra, e perché anche i media hanno fatto loro eco. Per comprendere
questo, è importante capire quanto è stato sorprendente
per ognuno di questi leaders il corso degli eventi. Innanzitutto, ci
si aspettava che l’intervento della NATO, prima con la no
– fly zone e poi con azioni aeree mirate sulle postazioni
di Gheddafi, avrebbe provocato un rapido collasso del suo governo e
la sua sostituzione con una coalizione democratica ad est.
Due fattori convergenti hanno portato a questa conclusione. Il primo
è rappresentato dai gruppi che sostengono i diritti umani, estranei
ai governi e alle fazioni, e dal Dipartimento di Stato, che ritenevano
necessario un intervento per fermare la strage in atto a Benghazi. Questo
schieramento aveva un problema serio: la via più efficace per
fermare rapidamente un regime sanguinario era l’intervento militare
ma, avendo condannato l’invasione americana in Iraq che aveva
come scopo, almeno in parte, quello di rovesciare un regime violento,
sarebbe stato difficile giustificare un intervento armato sul territorio
libico. Le argomentazioni morali richiedono una certa coerenza.
In Europa ha acquisito centralità la dottrina del ‘soft
power’ ma nel caso della Libia, trovare una strada per applicarla
era difficile: sanzioni ed ammonimenti probabilmente non avrebbero fermato
Gheddafi e l’azione militare va contro i principi della suddetta
dottrina. Il risultato è stato una soft power militare; l’istituzione
di una no – fly zone era un modo per avviare un’azione
militare senza realmente danneggiare qualcuno, tranne i piloti che erano
decollati, e soddisfaceva al contempo la necessità di distinguere
la Libia dall’Iraq non invadendola né occupandola ma permetteva
di esercitare pressioni realmente significative su Gheddafi.
Naturalmente, la no – fly zone si è rivelata inefficace
e le forze francesi hanno cominciato a bombardare le milizie di Gheddafi
il giorno stesso. A terra stavano morendo i libici, non i soldati francesi,
inglesi o americani. Mentre la no – fly zone veniva ufficialmente
annunciata, la campagna aerea prendeva piede senza alcun tipo di chiara
decisione. Gli attivisti dei diritti umani hanno fatto presente la loro
preoccupazione: i bombardamenti aerei causano sempre più vittime
di quelle designate perché non possono essere così precisi
come si vorrebbe. Questo ha fatto sentire i governi autorizzati ad imbarcarsi
in quello che io (l’autore, ndt) ho chiamato ‘intervento
impeccabile’.
Il secondo fattore per cui si è optato per questa strategia,
è riconducibile alle aviazioni dei vari paesi coinvolti. Non
è in discussione l’importanza della forza aerea nelle guerre
moderne ma ci sono continue discussioni sulla possibilità di
raggiungere gli scopi politici prefissati soltanto per mezzo di questa,
senza cioè coinvolgere le forze di terra. Per la ’comunità
dell’aria’ la Libia poteva diventare l’occasione per
dimostrare la propria efficacia nel perseguire i suddetti scopi.
Tutto questo permetteva ai sostenitori dei diritti umani di concentrarsi
sugli scopi – proteggere i civili libici a Benghazi – fingendo
di non aver sostenuto un intervento armato che avrebbe lasciato di per
sé molti morti alle spalle. Dal canto loro, i leader politici
potevano sentire di non infilarsi in un pantano ma semplicemente intraprendere
un intervento pulito ed infine le forze aeree potevano dimostrare la
loro efficacia nel produrre gli effetti politici sperati.
Come e perché
La questione delle ragioni di fondo va affrontata perché stanno
circolando voci sul fatto che le compagnie di petrolio si contendono
grosse somme di denaro in Libia. Queste sono tutte teorie credibili
giacché la storia,quella vera, è difficile da scoprire
ed io (l’autore, ndt) simpatizzo con quelli che stanno cercando
un’intricata cospirazione che giustifichi il tutto.
Il problema è che andare in guerra per il petrolio libico non
era necessario. Gheddafi amava vendere il petrolio, quindi, se i governi
coinvolti gli avessero detto tranquillamente che sarebbe saltato se
non avesse trovato un’altra intesa con chi si intascava i proventi
e ridefinito l’ammontare di royalties da trattenere, Gheddafi
l’avrebbe fatto. Lui era cinico ed aveva perfettamente capito
che cambiare partner d’affari e cedere buona parte dei profitti
sarebbe stato meglio che essere deposto.
In realtà non c’è nessuna teoria che spieghi questa
guerra come causata dal petrolio, semplicemente perché non ciò
non era necessario per ottenere le concessioni desiderate. Quindi la
storia – proteggere la popolazione di Benghazi dal massacro –
è l’unica spiegazione razionale, per quanto possa essere
difficile da credere.
Si deve tenere in considerazione che, data la natura della moderna strategia
di guerra, le forze della NATO in piccola quantità dovevano essere
presenti sin dall’inizio – in realtà, addirittura
da qualche giorno prima l’inizio della campagna aerea. Un’identificazione
accurata degli obbiettivi e l’averne ragione con sufficiente precisione
richiede squadre speciali altamente specializzate per utilizzare al
meglio gli armamenti. Il fatto che ci sono stati relativamente pochi
incidenti causati dal fuoco amico indica che le procedure operative
standard erano attive.
Queste squadre erano probabilmente affiancate da altre squadre speciali
che hanno preparato – in molti casi anche ufficiosamente guidato
– le forze ribelli agli scontri. Ci sono numerosi rapporti dei
primi giorni di guerra che indicano che le squadre speciali addestravano
i combattenti ad usare le armi ed impartivano loro un’organizzazione.
Tuttavia, si sono verificati due problemi adducibili a questo approccio.
Primo, Gheddafi non ha ripiegato la tenda e non è capitolato,
sembrava anzi singolarmente indifferente alle forze che aveva di fronte.
Secondo, le sue truppe si sono dimostrate essere altamente capaci e
motivate, almeno in confronto ai loro avversari. Una dimostrazione di
ciò sta nel fatto che non si sono arresi in massa ma hanno mantenuto
un certo grado di compattezza e – la prova finale – hanno
resistito per sei mesi e continuano a farlo. La convinzione dei sostenitori
dei diritti umani che un tiranno isolato si sarebbe arreso di fronte
alla comunità internazionale, dei leaders politici che avrebbe
ceduto nel giro i qualche giorno schiacciato dalla potenza aerea della
NATO e delle forze aeree che i bombardamenti avrebbero distrutto la
resistenza, tutto questo si è rivelato essere falso.
Una guerra protratta
La causa di tutto questo è in parte da individuare in un fraintendimento
della politica libica. Gheddafi era un tiranno ma non era completamente
isolato; aveva dei nemici ma anche molti sostenitori che avevano dei
benefici da lui, o quanto meno che credevano nella sua dottrina. Inoltre,
tra le truppe di governo (alcuni dei quali erano mercenari del sud)
c’era anche la convinzione generale che la resa avrebbe comportato
il loro massacro; i leader politici, invece, ritenevano che la resa
li avrebbe condotti all’Aia e quindi in prigione. La fiducia della
comunità a difesa dei diritti umani nella Corte Criminale Internazionale
che avrebbe giudicato Gheddafi e il suo entourage non avrebbe lasciato
loro alcuno spazio per ritirarsi, e uomini senza scampo combattono duramente
e fino alla fine. Non c’era modo di negoziare la capitolazione
a meno che il Consiglio di Sicurezza dell’ ONU non avesse mediato
per un accordo. Gli ammiccamenti che hanno convinto i grandi dittatori
del passato a farsi da parte non sono più sufficienti. Tutti
i paesi che fanno parte dello Statuto di Roma sarebbero tenuti a consegnare
un leader come Gheddafi al tribunale di ICC.
Inoltre, a meno che l’ONU non concluda pubblicamente un accordo
con Gheddafi, che sarebbe avversato dalla comunità dei diritti
umani e potrebbe in ogni caso sembrare poco opportuno, Gheddafi non
si arrenderà, e così anche le sue truppe. I rapporti della
scorsa settimana parlavano di alcuni soldati che sono stati giustiziati.
Vero o no, giusto o no, potrebbe non essere un buon motivo per arrendersi.
La guerra è cominciata con la missione pubblica di proteggere
il popolo di Benghazi e si è trasformata presto in una guerra
per spodestare Gheddafi. Il problema era che tra gli scopi militari
ed ideologici, le forze dispiegate per la missione erano insufficienti.
Non sappiamo quante persone siano state uccise negli scontri durante
gli ultimi sei mesi, ma usare il soft power militare in questo modo
sicuramente ha protratto la guerra e verosimilmente causato molte più
morti, sia militari che civili.
Dopo sei mesi la NATO si è stancata ed ha finito con l’assaltare
Tripoli. L’assalto sembra essere consistito in 3 parti. La prima
è stato l’intervento delle truppe operative speciali (poche
centinaia) che, guidate dall’intelligence in azione a Tripoli,
ha attaccato e destabilizzato le forze governative nella città.
La seconda, è risultata essere un’operazione comunicativa
con cui la NATO ha fatto sembrare che la guerra fosse finita. Il bizzarro
incidente in cui era stato annunciato che il figlio di Gheddafi, Saif
al-Islam, era stato catturato salvo poi apparire in un SUV “molto
non-catturato”, era parte del gioco. La NATO voleva che sembrasse
che la leadership e le forze della resistenza fossero state sconfitte
perché queste stesse forze si convincessero ad arrendersi. L’apparizione
di Saif al-Islam aveva lo scopo di mostrare che la guerra continuava
ancora.
In seguito alle speciali operazioni di attacco e di informazione, i
ribelli occidentali sono entrati in città con grandi festeggiamenti,
sparando perfino colpi celebrativi in aria. I media mondiali hanno fissato
la fine della guerra al ritiro delle squadre speciali e i ribelli vittoriosi
hanno accettato ciò. Ci sono voluti sei mesi, ma è finita.
E poi è diventato ovvio che non era finita. Il 5% della Libia
– una percentuale interessante – non era stata liberata,
i combattimenti per strada a Tripoli continuavano, aree del paese erano
ancora sotto il controllo di Gheddafi. E lo stesso Gheddafi non era
dove i suoi nemici volevano che fosse. La guerra continuava.
Da tutto questo si possono trarre una serie di lezioni. Primo, che la
Libia può non essere importante per il mondo ma per i libici
sicuramente non è così. Secondo, non supporre che i tiranni
non abbiano sostenitori. Gheddafi non ha governato la Libia per 42 anni
senza essere sostenuto da qualcuno. Terzo, non dare per scontato che
le forze dispiegate siano necessariamente sufficienti. Quarto, cancellare
l’opzione di una fine negoziata della guerra con gli strumenti
delle corti internazionali può essere moralmente gratificante
ma comporta che la guerra continui e il numero delle vittime aumenti.
Bisogna decidere cosa è più importante – alleviare
le sofferenze delle persone o punire il colpevole. Qualche volta è
l’uno o l’altro. Quinto, e più importante, non prendere
in giro il mondo dicendo che le guerre stanno volgendo al termine. Dopo
che G. W. Bush si è imbarcato su una portaerei decorata con lo
striscione ‘missione compiuta’, la guerra in Iraq si è
fatta ancora più violenta, e il danno per lui ancora più
grave. Operazioni d’informazione possono essere utili a convincere
l’avversario a capitolare, ma la credibilità politica svanisce
se si dichiara che la guerra è finita mentre i combattimenti
vanno avanti.
Verosimilmente, Gheddafi alla fine cadrà. La NATO è più
potente di quanto lo sia lui e saranno spedite forze sufficienti a farlo
cadere. Invece, ci si deve domandare se c’è un’altra
strada per ottenere questo risultato con meno costi e più benefici.
Lasciando da parte la teoria della guerra per il petrolio, se lo scopo
era quello di proteggere Benghazi e spodestare Gheddafi, un maggior
numero di forze o una fine negoziale che preveda garanzie contro processi
al tribunale dell’Aia, sarebbero verosimilmente serviti meglio
allo scopo con una minor perdita di vite rispetto all’applicazione
del soft power militare.
E visto che il mondo guarda alla situazione in Siria, tutto questo dovrebbe
essere tenuto a mente.