Libia: prematura celebrazione di una vittoria

George Friedman Stratfor Global Intelligence
10 settembre 2011
Traduzione di Paola Saliola
La guerra in Libia è finita. Più precisamente, governi e media hanno deciso che sia finita, sebbene i combattimenti continuino. Le aspettative, regolarmente disattese, erano che Moammar Gheddafi sarebbe capitolato di fronte alle forze schierate contro di lui, e che le sue stesse milizie l’avrebbero abbandonato davanti alla sconfitta. Quello che si stava celebrando la scorsa settimana, con i presidenti, i Primi Ministri, e i media che annunciavano la sconfitta di Gheddafi, probabilmente diverrà realtà a tempo debito. Il fatto che ancora non sia così non sminuisce le tendenze ad auto – congratularsi
Per esempio, il Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha riferito che soltanto il 5% della Libia rimane ancora sotto il controllo di Gheddafi. Sembrerebbe una percentuale insignificante, tranne per questa notizia apparsa sul quotidiano italiano La Stampa che riferiva che ‘Tripoli sta venendo ripulita’ quartiere per quartiere, strada per strada, casa per casa. Nel frattempo, bombe dal cielo stanno cadendo su Sirte dove, secondo i francesi Gheddafi è riuscito ad arrivare, anche se non si sa come. La città di Bali Walid, strategicamente importante – altro possibile nascondiglio nonché una delle due restanti vie d’uscita che conduce ad un’altra roccaforte di Gheddafi, Sabha – è stata circondata.
In altre parole, le forze di Gheddafi ancora conservano il controllo militare di una significativa area del paese. A Tripoli si combatte casa per casa ma ci sono ancora numerose roccaforti dotate di una forza difensiva sufficiente da non poter essere penetrate senza un’ adeguata preparazione militare. Anche se il reale nascondiglio del rais è sconosciuto, la sua cattura rappresenta l’obbiettivo della maggior parte dei preparativi militari, incluse le azioni aeree della NATO, intorno a Bali Walid, Sirte e Sabha. Quando Saddam Hussein fu catturato, si stava nascondendo in un buco nel terreno, solo e senza armi. Gheddafi sta ancora combattendo e sfidando gli avversari. La guerra non è finita.
Si potrebbe sostenere che seppure Gheddafi possiede ancora una consistente forza militare e parte del territorio, non governa più la Libia. È certamente vero e significativo, ma diventerà ancora più significativo quando i suoi nemici prenderanno il controllo delle leve del potere. Non è ragionevole aspettarsi che loro (i ribelli, ndt) siano in grado di fare questo a pochi giorni di distanza dall’ingresso a Tripoli e mentre gli scontri continuano. Perciò si pongono degli interrogativi critici, cioè se i ribelli hanno sufficiente forza per formare un governo credibile e se ci si deve aspettare nuovi scontri tra la popolazione (guerra civile, ndt) anche dopo che le forze di Gheddafi saranno neutralizzate. Semplicemente, Gheddafi sembra essere sul punto di essere sconfitto ma ancora non è giunto questo momento e la capacità dei suoi nemici di governare la Libia è in dubbio.

Intervento impeccabile
Dal momento che la fine è ancora lontana, è interessante considerare perché Barak Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron, i principali attori in questa guerra, hanno dichiarato all’unisono che Gheddafi è caduto, implicando con ciò la fine della guerra, e perché anche i media hanno fatto loro eco. Per comprendere questo, è importante capire quanto è stato sorprendente per ognuno di questi leaders il corso degli eventi. Innanzitutto, ci si aspettava che l’intervento della NATO, prima con la no – fly zone e poi con azioni aeree mirate sulle postazioni di Gheddafi, avrebbe provocato un rapido collasso del suo governo e la sua sostituzione con una coalizione democratica ad est.
Due fattori convergenti hanno portato a questa conclusione. Il primo è rappresentato dai gruppi che sostengono i diritti umani, estranei ai governi e alle fazioni, e dal Dipartimento di Stato, che ritenevano necessario un intervento per fermare la strage in atto a Benghazi. Questo schieramento aveva un problema serio: la via più efficace per fermare rapidamente un regime sanguinario era l’intervento militare ma, avendo condannato l’invasione americana in Iraq che aveva come scopo, almeno in parte, quello di rovesciare un regime violento, sarebbe stato difficile giustificare un intervento armato sul territorio libico. Le argomentazioni morali richiedono una certa coerenza.
In Europa ha acquisito centralità la dottrina del ‘soft power’ ma nel caso della Libia, trovare una strada per applicarla era difficile: sanzioni ed ammonimenti probabilmente non avrebbero fermato Gheddafi e l’azione militare va contro i principi della suddetta dottrina. Il risultato è stato una soft power militare; l’istituzione di una no – fly zone era un modo per avviare un’azione militare senza realmente danneggiare qualcuno, tranne i piloti che erano decollati, e soddisfaceva al contempo la necessità di distinguere la Libia dall’Iraq non invadendola né occupandola ma permetteva di esercitare pressioni realmente significative su Gheddafi.
Naturalmente, la no – fly zone si è rivelata inefficace e le forze francesi hanno cominciato a bombardare le milizie di Gheddafi il giorno stesso. A terra stavano morendo i libici, non i soldati francesi, inglesi o americani. Mentre la no – fly zone veniva ufficialmente annunciata, la campagna aerea prendeva piede senza alcun tipo di chiara decisione. Gli attivisti dei diritti umani hanno fatto presente la loro preoccupazione: i bombardamenti aerei causano sempre più vittime di quelle designate perché non possono essere così precisi come si vorrebbe. Questo ha fatto sentire i governi autorizzati ad imbarcarsi in quello che io (l’autore, ndt) ho chiamato ‘intervento impeccabile’.
Il secondo fattore per cui si è optato per questa strategia, è riconducibile alle aviazioni dei vari paesi coinvolti. Non è in discussione l’importanza della forza aerea nelle guerre moderne ma ci sono continue discussioni sulla possibilità di raggiungere gli scopi politici prefissati soltanto per mezzo di questa, senza cioè coinvolgere le forze di terra. Per la ’comunità dell’aria’ la Libia poteva diventare l’occasione per dimostrare la propria efficacia nel perseguire i suddetti scopi.
Tutto questo permetteva ai sostenitori dei diritti umani di concentrarsi sugli scopi – proteggere i civili libici a Benghazi – fingendo di non aver sostenuto un intervento armato che avrebbe lasciato di per sé molti morti alle spalle. Dal canto loro, i leader politici potevano sentire di non infilarsi in un pantano ma semplicemente intraprendere un intervento pulito ed infine le forze aeree potevano dimostrare la loro efficacia nel produrre gli effetti politici sperati.

Come e perché
La questione delle ragioni di fondo va affrontata perché stanno circolando voci sul fatto che le compagnie di petrolio si contendono grosse somme di denaro in Libia. Queste sono tutte teorie credibili giacché la storia,quella vera, è difficile da scoprire ed io (l’autore, ndt) simpatizzo con quelli che stanno cercando un’intricata cospirazione che giustifichi il tutto.
Il problema è che andare in guerra per il petrolio libico non era necessario. Gheddafi amava vendere il petrolio, quindi, se i governi coinvolti gli avessero detto tranquillamente che sarebbe saltato se non avesse trovato un’altra intesa con chi si intascava i proventi e ridefinito l’ammontare di royalties da trattenere, Gheddafi l’avrebbe fatto. Lui era cinico ed aveva perfettamente capito che cambiare partner d’affari e cedere buona parte dei profitti sarebbe stato meglio che essere deposto.
In realtà non c’è nessuna teoria che spieghi questa guerra come causata dal petrolio, semplicemente perché non ciò non era necessario per ottenere le concessioni desiderate. Quindi la storia – proteggere la popolazione di Benghazi dal massacro – è l’unica spiegazione razionale, per quanto possa essere difficile da credere.
Si deve tenere in considerazione che, data la natura della moderna strategia di guerra, le forze della NATO in piccola quantità dovevano essere presenti sin dall’inizio – in realtà, addirittura da qualche giorno prima l’inizio della campagna aerea. Un’identificazione accurata degli obbiettivi e l’averne ragione con sufficiente precisione richiede squadre speciali altamente specializzate per utilizzare al meglio gli armamenti. Il fatto che ci sono stati relativamente pochi incidenti causati dal fuoco amico indica che le procedure operative standard erano attive.
Queste squadre erano probabilmente affiancate da altre squadre speciali che hanno preparato – in molti casi anche ufficiosamente guidato – le forze ribelli agli scontri. Ci sono numerosi rapporti dei primi giorni di guerra che indicano che le squadre speciali addestravano i combattenti ad usare le armi ed impartivano loro un’organizzazione.
Tuttavia, si sono verificati due problemi adducibili a questo approccio. Primo, Gheddafi non ha ripiegato la tenda e non è capitolato, sembrava anzi singolarmente indifferente alle forze che aveva di fronte. Secondo, le sue truppe si sono dimostrate essere altamente capaci e motivate, almeno in confronto ai loro avversari. Una dimostrazione di ciò sta nel fatto che non si sono arresi in massa ma hanno mantenuto un certo grado di compattezza e – la prova finale – hanno resistito per sei mesi e continuano a farlo. La convinzione dei sostenitori dei diritti umani che un tiranno isolato si sarebbe arreso di fronte alla comunità internazionale, dei leaders politici che avrebbe ceduto nel giro i qualche giorno schiacciato dalla potenza aerea della NATO e delle forze aeree che i bombardamenti avrebbero distrutto la resistenza, tutto questo si è rivelato essere falso.

Una guerra protratta
La causa di tutto questo è in parte da individuare in un fraintendimento della politica libica. Gheddafi era un tiranno ma non era completamente isolato; aveva dei nemici ma anche molti sostenitori che avevano dei benefici da lui, o quanto meno che credevano nella sua dottrina. Inoltre, tra le truppe di governo (alcuni dei quali erano mercenari del sud) c’era anche la convinzione generale che la resa avrebbe comportato il loro massacro; i leader politici, invece, ritenevano che la resa li avrebbe condotti all’Aia e quindi in prigione. La fiducia della comunità a difesa dei diritti umani nella Corte Criminale Internazionale che avrebbe giudicato Gheddafi e il suo entourage non avrebbe lasciato loro alcuno spazio per ritirarsi, e uomini senza scampo combattono duramente e fino alla fine. Non c’era modo di negoziare la capitolazione a meno che il Consiglio di Sicurezza dell’ ONU non avesse mediato per un accordo. Gli ammiccamenti che hanno convinto i grandi dittatori del passato a farsi da parte non sono più sufficienti. Tutti i paesi che fanno parte dello Statuto di Roma sarebbero tenuti a consegnare un leader come Gheddafi al tribunale di ICC.
Inoltre, a meno che l’ONU non concluda pubblicamente un accordo con Gheddafi, che sarebbe avversato dalla comunità dei diritti umani e potrebbe in ogni caso sembrare poco opportuno, Gheddafi non si arrenderà, e così anche le sue truppe. I rapporti della scorsa settimana parlavano di alcuni soldati che sono stati giustiziati. Vero o no, giusto o no, potrebbe non essere un buon motivo per arrendersi.
La guerra è cominciata con la missione pubblica di proteggere il popolo di Benghazi e si è trasformata presto in una guerra per spodestare Gheddafi. Il problema era che tra gli scopi militari ed ideologici, le forze dispiegate per la missione erano insufficienti. Non sappiamo quante persone siano state uccise negli scontri durante gli ultimi sei mesi, ma usare il soft power militare in questo modo sicuramente ha protratto la guerra e verosimilmente causato molte più morti, sia militari che civili.
Dopo sei mesi la NATO si è stancata ed ha finito con l’assaltare Tripoli. L’assalto sembra essere consistito in 3 parti. La prima è stato l’intervento delle truppe operative speciali (poche centinaia) che, guidate dall’intelligence in azione a Tripoli, ha attaccato e destabilizzato le forze governative nella città. La seconda, è risultata essere un’operazione comunicativa con cui la NATO ha fatto sembrare che la guerra fosse finita. Il bizzarro incidente in cui era stato annunciato che il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, era stato catturato salvo poi apparire in un SUV “molto non-catturato”, era parte del gioco. La NATO voleva che sembrasse che la leadership e le forze della resistenza fossero state sconfitte perché queste stesse forze si convincessero ad arrendersi. L’apparizione di Saif al-Islam aveva lo scopo di mostrare che la guerra continuava ancora.
In seguito alle speciali operazioni di attacco e di informazione, i ribelli occidentali sono entrati in città con grandi festeggiamenti, sparando perfino colpi celebrativi in aria. I media mondiali hanno fissato la fine della guerra al ritiro delle squadre speciali e i ribelli vittoriosi hanno accettato ciò. Ci sono voluti sei mesi, ma è finita.
E poi è diventato ovvio che non era finita. Il 5% della Libia – una percentuale interessante – non era stata liberata, i combattimenti per strada a Tripoli continuavano, aree del paese erano ancora sotto il controllo di Gheddafi. E lo stesso Gheddafi non era dove i suoi nemici volevano che fosse. La guerra continuava.
Da tutto questo si possono trarre una serie di lezioni. Primo, che la Libia può non essere importante per il mondo ma per i libici sicuramente non è così. Secondo, non supporre che i tiranni non abbiano sostenitori. Gheddafi non ha governato la Libia per 42 anni senza essere sostenuto da qualcuno. Terzo, non dare per scontato che le forze dispiegate siano necessariamente sufficienti. Quarto, cancellare l’opzione di una fine negoziata della guerra con gli strumenti delle corti internazionali può essere moralmente gratificante ma comporta che la guerra continui e il numero delle vittime aumenti. Bisogna decidere cosa è più importante – alleviare le sofferenze delle persone o punire il colpevole. Qualche volta è l’uno o l’altro. Quinto, e più importante, non prendere in giro il mondo dicendo che le guerre stanno volgendo al termine. Dopo che G. W. Bush si è imbarcato su una portaerei decorata con lo striscione ‘missione compiuta’, la guerra in Iraq si è fatta ancora più violenta, e il danno per lui ancora più grave. Operazioni d’informazione possono essere utili a convincere l’avversario a capitolare, ma la credibilità politica svanisce se si dichiara che la guerra è finita mentre i combattimenti vanno avanti.
Verosimilmente, Gheddafi alla fine cadrà. La NATO è più potente di quanto lo sia lui e saranno spedite forze sufficienti a farlo cadere. Invece, ci si deve domandare se c’è un’altra strada per ottenere questo risultato con meno costi e più benefici. Lasciando da parte la teoria della guerra per il petrolio, se lo scopo era quello di proteggere Benghazi e spodestare Gheddafi, un maggior numero di forze o una fine negoziale che preveda garanzie contro processi al tribunale dell’Aia, sarebbero verosimilmente serviti meglio allo scopo con una minor perdita di vite rispetto all’applicazione del soft power militare.
E visto che il mondo guarda alla situazione in Siria, tutto questo dovrebbe essere tenuto a mente.

EurAsia
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