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Intervista a Thierry Meyssan e Julien
Teil
Tripoli, ultime ore prima della caduta
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Traduzione di Giacomo Gabellini
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IRIB – I nostri colleghi del sito “Egalité et Réconciliation”
hanno intervistato i giornalisti Thierry Meyssan e Julien Teil in merito
alla presa in ostaggio di cui sono stati oggetto prima della presa totale
della città da parte dei ribelli.
Ecco il testo dell’intervista.
Domanda: Come si è svolta la vostra presa in
ostaggio, negli ultimi giorni, a Tripoli? Siete stati minacciati dai
ribelli, si è parlato di arresto, di quello di Thierry specialmente,
e visto il caos che regnava, penso che voi abbiate rischiato ripetutamente
la morte, mi sbaglio?
Thierry Meyssan: Innanzitutto, noi non siamo mai stati
presi in ostaggio o per lo meno non è così che ho percepito
gli eventi. Ci siamo ritrovati bloccati all’interno dell’hotel
Rixos assieme a una quarantina di persone in una situazione particolare,
perché c’era un seminterrato dell’albergo sistemato
con delle camere e una cucina dotato di un accesso che nessuno conosce
e che è stato utilizzato da alcuni funzionari libici durante
alcune fasi cruciali della battaglia di Tripoli. Quindi, quando i funzionari
libici si trovavano all’interno di questo edificio la NATO non
poteva bombardarlo, perché conteneva anche giornalisti della
CNN, della BBC e della Fox, oltre a due inviati, una sorta
di negoziatori degli Stati Uniti. Poi, quando i funzionari libici erano
assenti la NATO ci ha usati come esche per farli ritornare; a quel punto,
non appena avessero osato entrare negli edifici sarebbero stati immediatamente
fermati. Dentro gli edifici siamo stati protetti dalle guardie libiche
della Jamahiriya mentre l’albergo veniva accerchiato da alcune
forze ribelli composte essenzialmente da guerriglieri islamisti di Al
Qaeda sotto la supervisione, da quel che ho capito, perché non
sono testimone oculare, degli ufficiali francesi.
Domanda: Quindi vi trovavate sotto il fuoco incrociato?
Julien Teil: Per quanto mi riguarda, concordo quasi
completamente con la versione di Thierry, anche se in realtà
nessuno di noi due ha potuto constatare con i propri occhi ciò
che stava accadendo all’esterno. Siamo stati protetti dai volontari
della Jamahiriya, vale a dire dalle persone che avevano interessi direttamente
connessi alle ragioni evocate da Thierry: dei dirigenti libici di altissimo
profilo erano entrati all’interno dell’albergo per trovare
rifugio, questo è certo, ma penso anche che intendessero difendere
l’albergo onde evitare che i ribelli entrassero e compissero un
massacro perché nutrivano un certo rispetto per i giornalisti
malgrado sapessero che molti di essi non avevano raccontato la verità;
quindi, da una parte, c’erano tutti questi volontari che difendevano
l’albergo e, soprattutto, facevano un gran baccano, mentre gli
scontri all’esterno miravano, ovviamente, a deconcentrare le guardie
che stazionavano all’ingresso che ammontavano grosso modo a 60
militari libici oltre, da quel che mi è stato riferito, a circa
una decina di volontari dislocati all’interno che si sono dati
ripetutamente il cambio. Ad un certo momento tutti i volontari hanno
certamente lasciato l’albergo, dal momento che non abbiamo visto
più nessuno al suo interno; i combattimenti all’esterno
sembravano essersi interrotti, ma non appena si è cercato di
guardare dal tetto, si sono immediatamente sentiti i cecchini, o meglio,
si sono subito sentite delle persone che sparavano; pertanto è
difficile sapere se furono i militari libici a intimorirci così
da farci rientrare, per la nostra sicurezza, all’interno dell’albergo
o se furono invece i ribelli a spararci contro; comunque, per quanto
riguarda questi ultimi, va chiarito che si tratta di persone sprovviste,
per la maggior parte dei casi, di alcun coordinamento. Ma questo mi
sembra sorprendente dal momento che, come ha spiegato Thierry, uno dei
volontari libici ci ha riferito che c’erano francesi, algerini,
tunisini e qataresi a controllare tale operazione.
Domanda: Prima di arrivare alla seconda domanda riguardante
il Qatar, avete parlato d’infiltrazioni di spie tra i giornalisti.
Come è andata a finire?
Thierry Meyssan: Avevo girato un breve filmato dentro
l’albergo, qualche tempo prima, per spiegare che in una situazione
di guerra come questa ogni potenza cerca di insinuare i propri agenti
segreti sul posto. E, naturalmente, quando si presenta la possibilità
di trovare giornalisti, tutti i servizi segreti si precipitano per sfruttarla.
E’abbastanza ovvio, in relazione alla generale logica di fondo.
Poi, se procediamo all’analisi dei singoli casi le dinamiche,
naturalmente, sono più complesse e io ho sono venuto a conoscenza
d’un certo numero di cose molto precise relative al caso in questione,
perché ho avuto accesso diretto ad esso; mi sono stati mostrati
vari dossier informativi che ora non ho con me, perché sono soltanto
stati sottoposti alla mia attenzione, per cui non farò il nome
di alcuna persona in particolare perché non sono nelle condizioni,
al momento attuale, di esibire prove materiali riguardanti la posizione
di tali personaggi. All’interno dei dossier che ho analizzato
erano presenti documenti di svariata, incredibile natura sulle connessioni
tra alcuni giornalisti e i servizi di intelligence MI6, Mossad e CIA.
Ho visto le schede di accreditamento della difesa segreta; ho visto
i piani d’evacuazione che sono stati forniti a queste persone
da una società, in particolare, che risponde al nome di “Idris”
e che corrisponde alla variante britannica della “Blackwater”
statunitense, installata in loco per favorire l’eventuale ritirata
delle proprie spie qualora se ne fosse presentata la necessità.
Ho visto tutto questo. C’erano molti giornalisti e c’erano
anche delle persone piuttosto normali, ma non erano molte.
Julien Teil: Per quanto mi riguarda, all’inizio ho avvertito le
stesse cose di Thierry, e secondo il mio parere la maggior parte di
questi giornalisti erano in realtà degli agenti infiltrati, degli
agenti sotto copertura, dei semplici negoziatori e financo degli informatori.
E poi, di contro, ho sicuramente commesso l’errore di cui parla
Thierry, poiché ci sono degli individui che non hanno nulla a
che vedere con tutti questi apparati ma sono dei semplici giornalisti
che fanno il loro lavoro, solo che lo fanno dalla sponda opposta rispetto
alla nostra; e ho commesso l’errore di pensare che alla fine questi
giornalisti, a prescindere da ciò che si possa pensare di loro,
non rappresentassero che una sparuta minoranza. Ma poi ho parlato con
Thierry e due giorni dopo ho compreso di quanto la realtà fosse
più complessa di così. Non ho avuto accesso alle stesse
informazioni di Thierry. Ho semplicemente constatato che questi giornalisti,
mentre parlavano con noi, erano delle persone abbastanza normali molto
più spaventate di quanto non fossimo noi.
Thierry Meyssan: Occorre comprendere che noi abbiamo
vissuto a porte chiuse nel bel mezzo di una situazione pericolosa. Era
necessario discendere nel primo seminterrato per evitare di esser colpiti
dai calcinacci. Infatti, per ben otto giorni abbiamo vissuto a porte
chiuse, in una condizione in cui le persone bloccate assieme a noi nell’albergo
si sono scisse in diversi gruppi: c’erano, da un lato, i giornalisti
atlantisti, dall’altro i giornalisti antimperialisti e in mezzo
alcuni che cercavano di tenersi ai margini di questo conflitto. Quando
la torre di guardia era operativa e dei nuovi volontari libici venivano
a difendere l’albergo, noi spesso li conoscevamo, sapevamo di
poterli salutare; li abbiamo accolti, li abbiamo abbracciati e abbiamo
chiesto loro notizie relative ad altri combattenti. Pertanto, ciò
avrebbe potuto suscitare un’ansia molto forte in seno agli altri
giornalisti, i quali avrebbero potuto pensare che in fin dei conti noi
non eravamo armati ma eravamo amici di altre persone armate di tutto
punto. Inoltre, abbiamo visto alcuni individui qualificatisi come giornalisti
atlantisti che godevano di un collegamento quasi permanente, via satellite,
con la NATO. Quindi, noi sapevamo che se l’albergo fosse stato
preso avrebbero potuto anche farci uccidere istantaneamente. Questo
tipo di situazione, dove ognuno diffida e ha paura dell’altro,
può degenerare molto rapidamente. Ed è veramente stata
più volte sul punto di degenerare. A ciò si aggiunga il
fatto che molti pericoli si sono creati in questo tipo di situazione.
Io e Mahdi Darius Nazemroaya, oltre a Lezzy della Press TV,
abbiamo svolto un lavoro molto visibile, sul piano mediatico, che ha
messo in luce una serie di menzogne costruite ad arte e fatte circolare
dall’Alleanza Atlantica: quindi, tutti e tre siamo stati considerati
come elementi ostili all’Alleanza, e tra tutte le cose che sono
accadute fino a quel momento, è chiaro che alcuni dirigenti militari
e politici dell’Alleanza avevano preso la decisione di far eliminare
non solo noi, ma anche un onesto negoziatore statunitense che si trovava
lì con noi. Il pericolo non era virtuale, mi creda. A ciò
si aggiunga il fatto che, da parte mia, ho profuso i miei sforzi, ed
ero solo, per difendere il diritto internazionale e in questo caso mi
sono sentito calpestato dall’Alleanza Atlantica in generale e
dalla Francia in particolare: ho tentato di difendere il diritto internazionale
e per farlo mi sono assunto alcune responsabilità nei confronti
della Jamahiriya. Per questo motivo sono stato personalmente considerato
un individuo che occorreva assolutamente far sparire. Per Julien e Mathieu
[Ozanon], che si trovavano in quel posto, il fatto stesso di stare al
mio fianco costituiva un pericolo ma, allo tesso tempo, se fossero stati
soli non avrebbero trovato maggior sicurezza. Era una situazione delicata.
Domanda: Si è chiaramente trattato di un una
storica operazione di messa in scena, in stile Hollywood… Tutti,
al giorno d’oggi, convengono che la presa della Piazza Verde è
stata realizzata, in studio, nel lontano Qatar. Anche il vertice del
CNT ha ammesso alla televisione Al Jazeera che la NATO ha fatto ricorso
anche a nastri audio per scatenare il panico fra i cittadini di Tripoli.
Peggio ancora, nessun membro del bordello ha ritenuto necessario parlarne.
Cosa avete visto sul posto, dal momento che ne parlavate prima della
caduta di Tripoli?
Thierry Meyssan: In primo luogo intendo ricordare che
quando ho raccontato questa storia del falso filmato che era stato girato
in Qatar non sapevo cosa stessero riprendendo, ma sapevo che avevano
ricostruito la Piazza Verde e Bab Al Aziya in studio e l’ho scritto
prima che il video fosse fatto circolare; ho visto , ancora una volta,
i giornali come “Marianne” farsi beffe del fatto
che io scrivessi queste cose, ma gli eventi mi hanno dato tristemente
ragione. Dall’inizio di questa guerra, molte delle cose che sono
state dette e molte delle cose che avete visto alla televisione sono
false. Il fatto di vedere non è sufficiente poiché, per
come funziona il sistema al giorno d’oggi, siamo in grado contestare
un rilevante numero di cose che sono state fatte circolare e credere
in tutto il mondo; specificamente noi contestiamo risolutamente la storia
dei massacri che avrebbero avuto luogo a Bengasi, agli inizi. Tutto
questo è falso, assolutamente falso. E ho cercato di spingermi
oltre. Penso che la stampa sia qualcosa di essenziale a qualsiasi forma
di democrazia. In assenza di libertà d’espressione non
è possibile parlare di democrazia. Ma se questa libertà
d’espressione è distorta al servizio della guerra, allora
l’intero sistema è falsato. Così, ho spinto la Jamahiriya
a perseguire degli obiettivi che, evidentemente, non possono essere
portati a termine ora, poiché, contrariamente a quanto riportato
dalla CNN, lo Stato è crollato dopo una serie di falsi resoconti
e in aperta violazione di tre risoluzioni dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite che sono state adottate all’indomani della
Seconda Guerra Mondiale, che assimilano la propaganda di guerra a un
crimine contro la pace, che affermano che la grande responsabilità
dei giornalisti che hanno distorto volontariamente l’informazione
(e non quanto hanno semplicemente commesso degli errori) debba essere
commisurata alle conseguenze connesse alle proprie falsificazioni e
contraffazioni, compresi i crimini di guerra e contro l’umanità,
come risultato della loro azione mistificatoria.
Julien Teil: Avendo studiato a strettissimo contatto
con Mathieu i documenti della Corte Penale Internazionale, conosco quelli
che sono stati usati come prove; tali documenti riassumono un certo
numero di eventi che ci sono stati presentati come reali. In allegato
a questi documenti troviamo circa otto tipologie di prove. E’
molto importante notare che tutte le prove che sono state apportate
sono classificabili nella seguente maniera: da una parte, ci sono le
prove pubbliche che sono nella maggior parte dei casi riportate dai
media e ci sono le prove inedite, che sono testimonianze di cui non
viene mai ripreso il contenuto. Il documento della Corte Penale Internazionale
è composto da 90 pagine e la metà è stata censurata…
Famose testimonianze! Le definiscono prove, laddove sono articoli della
stampa legata alla CNN e a Al Jazeera, tra i quali ne spiccava uno di
non ricordo quale organo informativo il cui titolo era “I
russi intendono installare una base in Libia”; occorre insorgere,
se la giustizia internazionale funziona in questo modo e un semplice
articolo di stampa riguardante le relazioni internazionali tra due paesi
viene consacrato come prova di un crimine contro l’umanità,
è una cosa molto grave. A ciò vanno sommate anche le numerose
dichiarazioni delle ONG che si occupano di diritti umani e denunciano
crimini e violazioni, ma non è possibile considerare i loro rapporti
come prove effettive. La testimonianza resa da una ONG finanziata dalla
National Endowment for Democracy, che funge da braccio armato della
CIA, per favorire l’installazione dei regimi graditi agli Stati
Uniti non può essere considerata alla stregua di una prova. Questa
propaganda mediatica ammanta con una maschera di legalità ciò
che è stato compiuto contro lo Stato libico e i suoi funzionari.
Domanda: C’è da domandarsi se siano rispettati
i diritti degli uomini e dei funzionari di Stato nel quartiere di Abou
Salim, dal momento che sono stati massacrati assieme a numerosi neri,
come si è visto dalle immagini. Cosa pensate di questo comportamento?
Thierry Meyssan: In primo luogo, occorre puntualizzare
cosa sia stata la presa di Tripoli. Il rapporto delle forze interne,
in Libia, è assai controverso; non abbiamo delle statistiche
precise, ma durante gli ultimi mesi i libici hanno indubbiamente accordato
un sostegno massiccio al loro governo, cementato dall’assoluta
ostilità nei confronti dell’intervento straniero. Tuttavia,
gli eventi di cui siamo venuti al corrente riguardano due gruppi principali:
da una parte c’era l’opposizione tradizionale tra Cirenaica,
regione di Bengasi e resto della Libia. Si potrebbe agevolmente concepire,
sulla base di queste differenze regionali, una ripartizione del paese.
La tribù di Misurata ha giocato un ruolo particolare poiché
è la prima ad essere entrata a Tripoli prima che la battaglia
fosse combattuta non dai ribelli, ma dalla coalizione che corrisponde
alla NATO e all’esercito del Qatar, che ha svolto le operazioni
di terra. Solo a battaglia militare terminata quelli comunemente definiti
“ribelli” sono entrati. E’ stata la tribù
di Misurata ad aver ottenuto, in passato, i maggiori privilegi in Libia.
Tutti concordano nel ritenere che si tratta dell’ultima tribù
ad avere qualcosa da rimproverare al regime. I suoi membri hanno un
storia che segue una particolare logica: si tratterebbe di ebrei turchi
fuggiti dal loro paese e convertiti all’Islam. Quando sono arrivati
a Tripoli, essi si sono impadroniti di tutto ciò che hanno trovato.
Tutto ciò che potevano requisire hanno requisito; inizialmente
si sono dedicati ai saccheggi, poi hanno dato vita a una vera e propria
caccia nei confronti dei cittadini di pelle nera, uccidendo tutti quelli
che incontravano. Si tratta di un fenomeno radicalmente razzista, che
non trova alcun’altra spiegazione. Esistono anche dei documenti
in cui si ammette che quella dei mercenari africani al soldo del governo
era una falsità utilizzata come pretesto per spiegare il fenomeno
razzista. Se c’erano dei neri per strada li si uccideva. L’area
boscosa a fianco dell’hotel Rixos in cui ci trovavamo
era completamente ricoperta di cadaveri di neri uccisi unicamente per
via del colore della loro pelle.
Julien Teil: Allora, io aggiungere qualche cosa in
più: Amnesty International, la ONG atlantista che ha
tuttavia dimostrato di aver mantenuto un certo livello di obiettività,
ha inviato in loco, dal mese di aprile fino a luglio (direttamente da
Londra), Donatella Rovera che nel corso di svariate dichiarazioni ai
media ha chiaramente spiegato le dinamiche della situazione. Ha riferito
che la storia, riportata più volte dai media, dei mercenari di
Gheddafi era integralmente inventata. Egli non aveva mai avuto dei mercenari
a propria disposizione. Non li ha mai ingaggiati perché godeva
di un forte appoggio popolare trasformatosi nei mesi in un immenso volontariato
di massa, a Tripoli specialmente, dove ha distribuito circa 2 milioni
di armi alla popolazione; questa propaganda serviva, in realtà,
a giustificare le azioni dei mercenari di Misurata. E’ una parte
della propaganda mediatica. Anche io ho creduto a questa menzogna, per
i primi 15 giorni.
Domanda: L’Algeria parla di un documento segreto
firmato dal CNT, riguardante un progetto relativo alla cessione del
35% del petrolio alla Francia cui è legato l’assassinio
del Generale Younes.
Thierry Meyssan: Non penso affatto. La guerra contro
la Libia è stata decisa da 10 anni, per dei motivi che non hanno
nulla a che vedere né con il regime politico né con la
politica estera portata avanti dal governo di Tripoli. Il primo obiettivo
era quello di rimodellare l’assetto geopolitico nordafricano sulla
falsariga del “Grande Medio Oriente”. Il secondo
obiettivo era quello di installare una base militare statunitense dell’Africom,
in modo da garantire agli Stati Uniti, per il secolo a venire, delle
risorse petrolifere e da questo punto di vista, si può affermare
che questa guerra è una vittoria per coloro che avevano immaginato
tutto ciò da un decennio, mentre costituisce un fallimento per
tutti gli imbecilli che si solo lasciati imbarcare in questo conflitto
senza comprendere che si sarebbero ritrovati macchiati di sangue, senza
comprendere nemmeno come. La posizione assunta dalla Francia, in questo
ambito, di richiedere una retribuzione in idrocarburi in cambio del
contributo reso da Parigi a questo massacro è alquanto grottesca
e disgustosa.
Julien Teil: Io aggiungerei che, come abbiamo annunciato, avranno luogo
degli eventi il prossimo 17 settembre in Algeria, e dovremo diffidare
delle ricostruzioni che ci racconteranno di dirigenti politici che sparano
sulla folla; questa volta occorrerà prendere coscienza del fatto
che non sarà vero. Noi sappiamo che tra il CNT e il governo algerino
si sta instaurando una immensa discorda, e inoltre che tutte le armi
che circolano attualmente in Libia sommate a quelle della Francia e
del Qatar che passeranno attraverso le solite reti, “AQMI”
[Al Qaeda au Maghreb Islamique] in particolare, daranno luogo a un enorme
traffico d’armi che transiteranno attraverso l’Algeria.
Prevedo che l’Algeria si troverà ad affrontare un futuro
molto cupo. Speriamo che gli algerini traggano i debiti insegnamenti
dal loro recente passato, e che i 100.000 morti civili caduti nell’arco
temporale che si estende dal 1992 al 2002 permettano loro di evitare
di cadere nella trappola.