Un giallo politico in salsa greca

Andrea Turi 19 aprile 2012
Era il giugno del 2011 quando il settimanale greco “Epikera” rivelò per la prima volta i contorni di un presunto complotto ordito ai danni di Kostas Karamanlis, leader del partito di centrodestra Nuova Democrazia e primo ministro del paese ellenico dal 10 marzo del 2004 al 6 ottobre del 2009: stando a quanto riportato su “Epikera”, nel 2008, infatti, Karamanlis sarebbe scampato ad un attentato orchestrato da un “Paese alleato di Atene” (nome in codice “Pythia 1”) con lo scopo di spodestare (se non proprio di eliminare fisicamente) il capo del governo greco. L’operazione sarebbe stata sventata grazie ad una informativa girata al Servizio greco e redatta da un gruppo di agenti del servizio di controspionaggio, gruppo predisposto ad hoc perché a Mosca si erano resi conto che le conversazioni di natura privata tra Putin e Karamanlis erano state intercettate da spie di paesi stranieri alleati di Atene (1).
È dell’ultimo mese di marzo, invece, la notizia proveniente dalla Grecia riguardante la decisione di un pubblico ministero che, sulla base di nuove informazioni di cui è entrata in possesso la polizia greca, ha aperto un’inchiesta per far luce sul complotto. Il complotto avrebbe avuto alla base una semplice ragione: punire le scelte filo-sovietiche di Karamanlis in materia di politica energetica: già nel 2008, infatti, il governo greco stava negoziando il coinvolgimento della Grecia nel progetto South Stream, il gasdotto progettato da Gazprom e da Eni per portare il gas naturale russo in Europa.

Southstream contro Nabucco: la guerra fredda dell’energia
La Grecia, una nazione a cavallo tra due visioni del mondo e di interessi contrapposti: nel 1946 Atene fu lo scenario di una delle prime avvisaglie di Guerra Fredda quando, nel corso della guerra civile che imperversava nel Paese, Stati Uniti e Unione Sovietica si fronteggiarono; i primi per contenere l’espansione dei russi, i secondi per allargare la loro sfera di influenza oltre i confini degli stati del blocco orientale e puntare al controllo del traffico nel Mediterraneo. Quella guerra politica fu condotta con mezzi militari. Nel primo decennio del nuovo millennio Atene si ritrova ad essere l’ago della bilancia nella guerra fredda dell’energia tra il vecchio occidente, Stati Uniti ed Unione Europea, e Mosca: in gioco non c’è solo il controllo del Mediterraneo ma il controllo dei flussi energetici verso l’Europa; in campo non c’è il dispiegamento massiccio delle armi nucleari ma, bensì, le squadre dei tecnici preposte alla progettazione di gasdotti per il trasporto del gas in Europa: da una parte il progetto Nabucco, sostenuto da Stati Uniti ed Unione Europea, dall’altro il gasdotto South Stream promosso da Gazprom ed ENI.
Il Nabucco Gas Pipeline Project è nato nel 2002 con lo scopo approvvigionare l’Europa con il gas proveniente dalla zona del Mar Caspio (dal campo di Shaz Deniz in Azerbaigian, dal Turkmenistan e dal Kazakistan) a cui, stando al progetto, dovrebbe unirsi il gas proveniente dall’Egitto, Iraq ed Iran. La realizzazione del Nabucco è stata inserita dalla Comunità Europea nel novero dei progetti infrastrutturali da mettere in opera in campo energetico e ritenuti di massima priorità: inserito nel Corridoio Sud (2), il progetto verrà finanziato con una cifra che si aggira intorno ai 200 milioni di euro nel programma EEPR (European Energy Programme for Recovery). Come dichiarato innumerevoli volte da Andris Piebals, commissario europeo per l’energia, il gasdotto Nabucco è fondamentale per la sicurezza energetica dell’Unione Europea e non può fallire (3).
Alternativo e contrapposto al Nabucco è il progetto South Stream, sviluppato dal monopolista dell’energia russa Gazprom e dall’italiana ENI, che il 23 giugno del 2007 firmarono un memorandum di intesa per la costruzione di questo nuovo gasdotto che attraverso il Mar Nero dovrà collegare la Russia all’Italia con una capacità massima di 64 miliardi di metri cubi. Questo primo accordo bilaterale permetteva alle due compagnie di soddisfare i rispettivi interessi: la Russia avrebbe fatto entrare in Europa il gas russo attraverso l’Italia evitando, così, di passare per l’Ucraina mentre l’ENI, il colosso energetico italiano, avrebbe potuto ambire ad una compartecipazione nello sfruttamento degli idrocarburi siberiani. Nel 2009 la Russia ha poi concluso accordi separati con Bulgaria, Ungheria e Grecia per allargare la compartecipazione al progetto anche a questi paesi.
Già, la Grecia. La Grecia di Karamanlis che, come ricordato in apertura di articolo, nel 2008 stava negoziando con Mosca il coinvolgimento nel progetto South Stream. Da qui il complotto. Da qui la volontà di far fuori, innanzitutto politicamente, il capo di Nuova Democrazia.

Una delicata partita a scacchi sullo scacchiere politico europeo
Attualmente in Grecia si gioca, quindi, una delle partite più importanti per il futuro dell’Europa. Rispettando la loro fama di eccellenti giocatori di scacchi, i russi cercano di porre sotto scacco la politica energetica della comunità europea. Perché il South Stream è innanzitutto un progetto di natura politica: la Mosca di Putin, che ha chiesto con fermezza al numero uno di Gazprom Alexei Miller di accelerare per iniziare i lavori di costruzione già a fine del 2012 (4) (anticipando, così, di un anno la data prevista dal progetto iniziale), intende bypassare i paesi invisi al Cremlino, come Romania, Polonia ed Ucraina, con l’obiettivo, proprio della propria politica energetica, di rifornire l’Unione Europea: il gasdotto ortodosso, così come è stato ribattezzato South Stream, poiché, aggirando le problematiche relative al passaggio dei tubi per i Paesi dell’Europa Centrale, porta Mosca al raggiungimento di un duplice obiettivo politico e strategico: legare il Vecchio Continente alle forniture di gas russo. Questa politica non piace, ovviamente, agli Stati Uniti, che già da tempo stanno cercando di contenere la presenza di Mosca nella regione: il 15 marzo 2005, per esempio, la Russia, ritrovata la tranquillità finanziaria, prese l’iniziativa e per attuare le proprie strategie firmò un accordo con Bulgaria e Grecia per la costruzione dell’oleodotto Burgas – Alexandroupolis, il primo a completo controllo russo e antagonista del progetto BTC (Baku -T’bilisi – Ceyhan) sostenuto dagli Stati Uniti. Questo tratto dovrebbe permettere al gasdotto South Stream di prendere la via dell’Italia.
Il South Stream non piace, dunque, ai nordamericani che appoggiano la messa in opera del Nabucco. Ma per quale motivo? Perché Putin grazie al gas russo è riuscito a portare dalla sua parte l’Italia, la Turchia (che ha concesso il transito dei tubi del gasdotto dalle proprie acque territoriali) e la Grecia, tre dei Paesi dell’Alleanza Atlantica di importanza strategica. Uno scenario da guerra fredda con la Grecia che gioca un ruolo strategico nella strategia del containment delle aspirazioni russe messo in atto da Washington. Dalle sorti greche dipende, quindi, una parte dell’abbraccio (altra parte è rappresentata dal gasdotto North Stream destinato a passare per il Nord Europa) russo all’Unione Europa.

La crisi greca, le pressioni sui governi e i presunti complotti
Può la crisi greca (e quella italiana) essere un preciso piano di ritorsioni per le scelte energetiche che privilegiano il rapporto con Mosca piuttosto che la vicinanza agli Stati Uniti? Gli amanti delle teorie del complotto troverebbero presto una connessione tra il piano per far uscire di scena Karamanlis, lo scoppio della crisi greca, l’insediamento del “tecnico” Papademos, uomo della BCE e la privatizzazione della DEPA, la società pubblica che gestisce il gas in Grecia e che era interessata al metano che sarebbe dovuto transitare per il Corridoio Sud con il progetto ITGI (Interconnector Turkey – Greece – Italy), il tratto che avrebbe permesso al South Stream di giungere fino in Italia meridionale. Potremmo aggiungere al quadro il fatto che anche l’Ungheria, paese che ha scelto di legarsi a Mosca e che era stato avvertito dall’ambasciatrice statunitense a Budapest nel 2008 con una dichiarazione che esortava il governo di Budapest a ripensare il proprio appoggio al progetto South Stream, “ripensamento che sarebbe utile per il paese magiaro” (5), è sotto scacco (6).
L’unica notizia certa è che la crisi greca ha portato alla messa in vendita della DEPA, società pubblica monopolista nel settore gas che tramite DESFA controlla la rete di distribuzione interna. È una prassi normale per un Paese in crisi quello di vendere ai privati il patrimonio pubblico. Ma in questa situazione il quadro si complica: la DEPA è, infatti, implicata nel progetto relativo alla realizzazione del ITGI (Interconnector Turkey – Greece – Italy) che, legandosi al gasdotto South Stream, porterebbe in Europa l’oro blu russo. Non è un caso che l’unico interesse ufficiale per l’acquisto di DEPA sia arrivato dalla russa Gazprom: il controllo della rete greca potrebbe portare un vantaggio non trascurabile per Mosca nel risiko del gas, nella cosiddetta Guerra dei Gasdotti.
Il quadro si complica ulteriormente se si allarga l’obiettivo: il governo azero ha, infatti, recentemente escluso il progetto ITGI dal bando dei diritti di sfruttamento dei giacimenti di Shah Deniz II preferendogli il progetto TAP (Trans-Adriatic Pipelines), progetto appoggiato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che dovrebbe passare sempre attraverso la Grecia ma non prevede l’impegno di soci greci. Il vantaggio del TAP consiste nell’essere funzionale e compatibile con il gasdotto Nabucco, l’antagonista del South Stream.
Una manovra per riallineare la Grecia ai dettami di Bruxelles e contenere le mire russe?
In Grecia si continua a respirare aria di Guerra Fredda. Complotti annessi e connessi.

NOTE:
1. Fitzankis Joseph, Russians ‘uncovered plan to kill Greek prime minister’
2. Prague Summit – Southern Corridor, 8 maggio 2009
3. Nabucco can’t fail, says EU commissioner
4. Gasdotto South Stream, Putin ne esige l’inizio entro il 2012
5. U.S. Ambassador urges Hungary to rethink Russia pipeline talks
6. Ad avvalorare la tesi del fatto che la crisi greca sia stata innescata da interessi internazionali è un articolo apparso nel lontano 1992 sul New York Times in cui venivano riportati gli stralci di un testo fondamentale conosciuto con il nome di Defense Planning Guidance a firma di Paul Wolfowitz in cui si afferma che il nostro primo obiettivo è di prevenire il riemergere di un nuovo rivale […] che ponga una minaccia all’ordine di quella posta all’allora dall’Unione Sovietica. Questa è una considerazione dominante che ci impegna a prevenire che una qualsiasi potenza ostile possa dominare una delle regioni le cui risorse siano sufficienti a generare una potenza mondiale. Le regioni in questione comprendono l’Europa Occidentale […]. Dobbiamo tenere attivi i meccanismi di deterrenza che impediscano a potenziali concorrenti anche soltanto di aspirare ad un ampio ruolo regionale o globale.

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