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Le manovre dei paesi del Golfo contro
il popolo siriano
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Sami Kleib, giornalista libanese di nazionalità
francese, è diplomato in Comunicazione, Filosofia del Linguaggio
e del Discorso Politico. È stato direttore del giornale libanese
As-Safir, a Parigi, e caporedattore del Giornale di RMC-Moyen Orient.
Responsabile del programma “Visita speciale” su Al-Jazeera,
ha dato le dimissioni per protesta contro il nuovo orientamento politico
del canale televisivo.
Stando a quanto detto da una personalità vicina al Segretario
Generale della Lega Araba, Nabil Arabi, emerge l’espressione,
durante una riunione formale, della sua reale inquietudine a riguardo
dei piani d’integrazione della Giordania e del Marocco all’interno
del Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo (CCG). Egli suggerisce
al proprio uditorio l’esistenza di un pericolo tangibile per la
Lega Araba, poiché ne risulterebbe una nuova partizione del Mondo
Arabo, con le monarchie e i principati da una parte, il resto dei paesi
arabi dall’altra. Ciò permetterebbe all’Occidente
di controllare efficacemente le fonti energetiche e l’insieme
delle decisioni politiche riguardanti la regione.
Secondo la medesima fonte, il segretario generale aggiunto della Lega
Araba, Ahmed Bin Houli (d’origine algerina) sarebbe perlopiù
ridotto al ruolo di esecutore dei punti di vista e delle direttive del
ministro degli affari Esteri del Qatar, lo sceicco Hamad Bin Jassem
Bin Jabr Al Thani, il che ha portato numerosi partecipanti a porsi delle
domande sulle reali posizioni dell’Algeria. Tanto più che,
storicamente – e a comincare dal suo ministro degli affari Esteri
Abdel Aziz Boutéflika, all’epoca in cui costui occupava
questo ruolo – la diplomazia algerina si è sempre distinta
per la sua fermezza e per l’efficacia delle sue iniziative all’interno
della Lega. Avrà forse paura di subire la stessa sorte della
Tunisia o della Libia, se non peggio?
Descrivendo l’offensiva dei paesi del Golfo, Nabil Arabi ha detto:
“Un’offensiva di una tale forza e di tale ampiezza è
molto inquietante” avendo, come prova, il fatto indiscutibile
che alcuni di questi paesi si comportano come se la Lega Araba non fosse
che una sorta di copertura che li autorizza ad attaccare altri Stati
membri, come la Libia, lo Yemen, l’Egitto, la Siria etc…
Come altri responsabili della Lega Araba, Nabil Arabi non ha potuto
che constatare l’ambiguità che risulta dalle decisioni
prese contro la Libia, e si è spinto a dire: “Personalmente,
non sapevo che la decisione di stabilire una no-fly zone ed il divieto
all’aviazione libica di volare potessero dare un pretesto alla
NATO per andare a bombardare, con l’artiglieria pesante, le regioni
libiche scelte come bersaglio. Se l’avessi saputo, non avrei mai
permesso questa decisione”.
È sicuro che la legittimazione dell’intervento della NATO
in Libia sia stata ordita sotto mandato di Amr Moussa. Da ciò
la probabilità che Nabil Arabi abbia voluto inviare un messaggio
chiarissimo per indicare che altri paesi arabi sono caduti nella stessa
trappola; allo stesso tempo, in qualità di Segretario Generale
della Lega Araba, Nabil Arabi ha dovuto finire per accogliere l’eliminazione
di Muammar Geddhafi e del suo regime.
Inoltre, diverse fonti vicine ad Ahmed Bin Houli sostengono che Nabil
Arabi abbia aggiunto che i paesi del Golfo hanno esercitato enormi pressioni
per arrivare a far adottare la posizione di cui sappiamo contro la Libia,
e che essi faranno presto lo stesso contro la Siria.
È doveroso ricordare che il testo dell’articolo, più
che la decisione della Lega Araba, presa il 14 marzo 2011, sollecitava
chiaramente il Consiglio di Sicurezza per un intervento militare in
Libia, giacchè questo articolo chiedeva di “prendere
immediatamente le misure necessarie per lo stabilimento di una zona
d’esclusione aerea che impedisca ogni movimento dell’aviazione
militare libica, stabilire una zona di sicurezza nei siti esposti ai
bombardamenti fintanto che misure preventive non permetteranno la protezione
del popolo libico e dei residenti di tutte le nazionalità, il
tutto nel rispetto della pace regionale e della sovranità degli
stati confinanti”.
Inoltre, diverse personalità vicine alla Lega Araba hanno affermato
che attualmente alcuni paesi del Golfo, primo tra tutti il Qatar, fanno
pressione per assicurare una copertura simile per legittimare un intervento
internazionale in Siria, ma che hanno incontrato serie opposizioni da
parte degli altri paesi arabi. Così, l’Egitto e l’Algeria
hanno rifiutato finora di seguirli. Il Re dell’Arabia Saudita
non si è più mostrato entusiasta, malgrado le pressioni
provenienti da personalità saudite e kuwaitiane che non esprimono
necessariamente la decisione ufficiale dei loro due paesi.
In questa situazione, si pongono delle domande riguardo alla complicità
dei paesi del Golfo e di Ankara per destabilizzare la Siria dal suo
interno.
I conoscitori degli arcani della Lega Araba si trasmettono informazioni
sulle manipolazioni destinate a incoraggiare la Turchia e la Giordania
ad elevare il livello della loro ingerenza negli affari siriani con
il pretesto di proteggere i civili, i rifugiati, e i dissidenti dell’Armata,
e ad incitarli a pensare seriamente alle modalità di stabilimento
di “zone tampone” sui loro confini con la Siria.
Tutto ciò accompagnato da una panoplia di sanzioni come il congelamento
delle transizioni e degli affari finanziari nelle banche arabe, l’interruzione
degli investimenti nei paesi del Golfo, la sospensisone della Siria
dalla zona di libero scambio arabo (GAFTA), e la sua progressiva asfissia,
dovuta alla pressione sugli stati e le società che trattano con
i settori economici e finanziari siriani.
Ingerenza straniera e opposizione
Alcuni media israeliani, come il quotidiano “Haaretz”,
si sono interessati ai diversi piani volti a trasformare Homs, Hama
ed Edleb in “zone sotto la protezione internazionale”,
ma i mezzi per ottenere ciò non sono stati trovati, dato che
il doppio veto sino-russo pronunciato contro ogni intervento straniero
negli affari siriani contribuisce sempre a rendere molto difficile questa
manovra. Di conseguenza si stanno valutando altri mezzi, come l’idea
dei “corridoi umanitari”, avanzata dal ministro
degli Esteri francese Alain Juppé.
Conviene precisare che la Cina e la Russia non sono i soli paesi ad
opporsi ai piani di destabilizzazione della Siria. In effetti, la proposta
di un intervento turco o internazionale non ha ottenuto l’avallo
di tutti i paesi membri della Lega Araba. Molti di questi hanno espresso
chiaramente delle riserve, che ciononostante sono restate inascoltate
o deliberatamente ignorate, come il disaccordo arabo-arabo riguardo
all’opposizione siriana che chiedeva di essere rappresentata dal
Consiglio Nazionale Siriano (CNS).
Secondo Ammar al-Qurabi (capo dell’Organizzazione nazionale dei
diritti dell’Uomo, con base al Cairo –Ndt), Nabil Arabi
avrebbe ricevuto venticinque richieste di colloquio da parte dell’opposizione
siriana, nel momento stesso in cui il Qatar e alcuni paesi del Golfo,
in particolare, stavano esercitando intense pressioni sui paesi arabi
per portarli a riconoscere il CNS
Mentre altri paesi, perlopiù occidentali, considerano imperativo
allargare la rappresentatività del CNS prima di riconoscerlo
ufficialmente, altre forze dell’opposizione siriana dichiarano
che il CNS non può rappresentare la volontà popolare.
Essi accusano il CNS di essere dominato dalla Turchia, dal Qatar, e
da altri paesi arabi, e di non essere altro che uno schermo dietro al
quale si nascondono i Fratelli Musulmani. Ciò spiega perché
il CNS non è stato ancora riconosciuto come l’unico rappresentante
dell’opposizione siriana, né da alcuno Stato arabo, né
da alcuno Stato occidentale.
Non è assolutamente da escludere che si stia ora assistendo ad
una intensificazione delle pressioni che condurranno all’organizzazione
di una conferenza che riunisca una “opposizione allargata”
– dove verranno presentati tutti i partiti, o almeno la maggior
parte – col solo obiettivo di legittimarne il riconoscimento da
parte dei paesi arabi e occidentali e, al contempo, riuscire a delegittimare
il governo siriano con tutto quel che ciò potrebbe generare ad
ostacolo dei diplomatici siriani attenti alla politica estera, nei loro
tentativi di conciliazione.
Bisogna sapere che il contrabbando di armi – che in diversi mesi
hanno invaso il territorio siriano – ha provocato la divisione
dell’opposizione siriana dall’esterno, e alcune personalità
si rifiutano di dare credito al CNS. Così, Haytham Manna ha dichiarato
con grande delicatezza nei confronti di Burhan Ghalioun: “Se
le manifestazioni in Siria si fossero islamizzate, confessionalizzate,
o armate, sarebbero già terminate”, dal momento che
sono sempre le armi a stroncarle. Con il suo movimento d’opposizione,
Manna ha sfidato Ghalioun e il CNS, che egli dirige, con la richiesta
di adottare una posizione chiara in quanto alla separazione della religione
e dello Stato.
Detto ciò, la maggior parte degli oppositori dicono che, se il
regime siriano vuole evitare l’intervento straniero, sta a lui
provare la sua volontà di promuovere riforme e dare il via a
misure concrete in questo senso, soprattutto in termini di elezioni,
permettendo una condivisione effettiva del potere.
Resta il fatto che, nelle ultime settimane, sia stato il Qatar a giocare
il ruolo più importante per riunire gli oppositori.Del resto
il Qatar ha invitato a Doha la maggior parte dei loro rappresentanti.
Alcuni si spingono a dire che l’ultimo incontro del Primo Ministro
qatariota con il principe ereditario d’Arabia Saudita sia stato
dedicato quasi esclusivamente alla crisi siriana, dal momento che questi,
dopo essere nominato, ha ricevuto un messaggio d’amicizia firmato
dal Presidente Bachar el-Assad, al quale ha risposto con calore, augurando
alla Siria di uscire sana e salva dalla crisi in corso.
Anche le autorità turche hanno svolto un ruolo di prim’ordine.
Esse hanno intensificato le loro pressioni e le loro dichiarazioni intempestive,
per voce di Recep Tayeb Erdogan. E, a detta di alcuni oppositori, uno
tra tutti Al-Qurabi, è stata immaginata ogni sorta di scenario
dalla direzione politica turca: “Colpo di stato militare,
stabilimento di zone tampone, sanzioni economiche e finanziarie, e incoraggiamento
alla dissidenza dei militari siriani”.
Inoltre, sembra che l’intervento dell’armata siriana a Homs,
con l’adozione di una politica di sicurezza “chirurgica”
che mirasse a catturare o a eliminare gruppi di bande armate, ha portato
alcuni paesi del Golfo ad accelerare la cadenza e l’intensità
delle pressioni sulla Lega Araba, e in particolare su Nabil Arabi, per
stabilire un protocollo che ammanetti la Siria, in modo che non lo possa
né accettare né rifiutare. Accettandolo, aprirebbe le
porte ad osservatori non necessariamente neutrali, al traffico d’armi,
alle manifestazioni, ai dissidenti armati. Rifiutandolo, aprirebbe la
strada al Consiglio di Sicurezza e vanificherebbe l’azione della
Russia.
Argomenti di disaccordo tra la Siria e la Lega Araba
Il quotidiano As-Safir è riuscito a procurarsi, da fonti vicine
a Ahmed Bin Houli, dei documenti degli ultimi mesi che testimoniano
gli scambi tra la Lega Araba e Damasco.
Il primo documento (n. 7435, del 16 ottobre 2011), prevede i seguenti
punti:
1. Totale interruzione di tutti gli atti violenti diretti contro i cittadini
siriani, e totale interruzione di tutte le violenze che da essi derivano.
2. L’annuncio delle autorità siriane della volontà
di liberare tutti i prigionieri politici fatti per gli avvenimenti in
corso, prima della celebrazione dell’Aid Al-Adha [festa del Sacrificio
o AID AL-KEBIR, Ndt].
3. Totale evacuazione di ogni presenza militare nelle città e
nei quartieri abitati.
4. Organizzazione di un Congresso per un vasto dialogo nazionale, nella
sede del segretariato generale della Lega Araba e sotto la sua egida,
entro 15 giorni, e dopo l’esecuzione dei già esposti articoli
1, 2, 3.
Questo congresso avrebbe dovuto riunire rappresentanti del governo siriano
e di tutti i partiti dell’opposizione per accordarsi su una tabella
di marcia che stabilisse le modalità necessarie per la costituzione
di un processo di riforma politica conforme alle ambizioni del popolo
siriano.
Il comitato ministeriale ed il segretariato generale della Lega Araba
erano incaricati della preparazione delle modalità necessarie
all’esecuzione di questi articoli.
Il 26 ottobre 2011, un secondo documento emanato dal comitato ministeriale
“in seguito al suo accordo con Sua Eccellenza il Presidente
Bachar el-Assad” precisava gli emendamenti seguenti, apportati
dalla Siria:
1. Totale interruzione di tutte le violenze, qualunque ne sia l’origine.
2. Liberazione dei detenuti per gli avvenimenti in corso.
3. Totale evacuazione di ogni presenza armata nelle città e nei
quartieri abitati.
4… non modificato.
5. Invito degli organismi ufficiali della Lega Araba e dei media arabi
e internazionali a circolare liberamente in tutte le regioni siriane
per informarsi e rendere conto della realtà di ciò che
accade sul territorio.
Le informazioni provenienti dagli ambienti ufficiali della Lega Araba
indicano che, a seguito delle discussioni che hanno avuto luogo a margine
del consiglio ministeriale tra Nabil Arabi, i suoi consiglieri, e alcuni
rappresentanti dei paesi del Golfo, lo sceicco Hamad in primis, l’impressione
generale sia stata che la Siria rifiutasse queste soluzioni, come Nabil
Arabi aveva sentito ripetere a più riprese dal Presidente Assad,
e cioè che rifiutava qualunque attacco alla sovranità
della Siria, e che il dialogo avrebbe dovuto avvenire in territorio
siriano.
Ma l’approvazione siriana dell’iniziativa araba, abbinata
al rafforzamento delle misure di sicurezza nelle regioni “calde”,
in particolare durante l’AID Al-Adha, ha contribuito all’aumento
del livello di pressione dei paesi del Golfo e dei paesi occidentali
sulla Lega Araba, mentre i media arabi ed internazionali si concentravano
a diffondere immagini di omicidi, violenze, incursioni, pretenziosamente
attribuiti al regime siriano. A questo si è aggiunto il famoso
“protocollo arabo”, il cui contenuto è stato sempre
respinto, senza indugio, dai Siriani.
Le trappole del protocollo arabo
Ancora una volta, la Siria non ha risposto negativamente. Al contrario,
ha deciso di andare in direzione del vento al rischio di trovarsi intrappolata
nella burrasca. Ha accettato il principio del “protocollo”,
lavorando al suo emendamento. Quindi, ha escluso l’articolo che
trattava la presenza di “guardie personali o private”,
ed ha rifiutato di sottoscrivere tutti i rapporti o i dispiegamenti
di forze della Lega Araba prima di una consultazione incrociata con
il governo, precisando che i rapporti dovranno essere presentati parallelamente
al segretario generale della Lega e al governo siriano. In quanto ai
finanziamenti, dovranno essere assunti a responsabilità della
Lega Araba stessa.
Cosa porta la Siria ad accettare ciò che rischia di minacciare
la sua sovranità?
L’opposizione vede in questo atteggiamento conciliatore del governo
siriano un segno di debolezza che rivela la sua incapacità di
rifiutare alcunchè, nemmeno ciò che annuncia la sua fine
imminente. Il punto di vista dei dirigenti siriani è radicalmente
opposto a questa analisi. Infatti, coloro che li appoggiano fanno notare
che, dal momento che la crisi ha raggiunto il nono mese, non può
essere sfuggito agli osservatori che il governo e l’esercito siriani
sono rimasti solidali, che il numero di disertori non corrisponde alla
proporzione osservata in tempi normali, che non ci sono particolari
preoccupazioni sulla situazione finanziaria dal momento che la Siria
sta uscendo da diciassette anni di blocco che non le hanno impedito
di sviluppare la propria agricoltura e di esportare prodotti, e che
la sua economia non potrà mai essere strangolata finchè
le sue relazioni resteranno aperte con l’Iraq, il Libano, la Russia,
l’Indonesia, l’India…
Le stesse persone considerano che questa attitudine conciliante da parte
della Siria ha come risultato di mantenere l’”unità
del fronte arabo” per evitare di legittimare un intervento
straniero e rinforzare le posizioni della Russia e di altri alleati
al Consiglio di Sicurezza. Tanto più che i Siriani possono presentare
dei dossier documentati con foto, video e DVD che provano la partecipazione
di centinaia di individui armati ad abusi, assassinii legati a differenzze
comunitarie, mutilazioni di cadaveri, stupri… in particolare nella
regione di Homs; alcuni di questi dossier confermano l’implicazione
diretta di alcuni paesi del golfo nel finanziamento e nell’armamento,
dossier che potrebbero essere divulgati se gli arabi persisteranno nell’intensificazione
delle pressioni fino al punto di rottura.
Questa logica dei Siriani lascia pensare che non usciranno dalla Lega
Araba. Ma, nel caso in cui alcuni li volessero escludere, essi ne dovranno
sopportare le conseguenze. In questa sede non è inutile ricordare
che Nabil Arabi ha raccontato recentemente di essere stato obbligato,
quand’era Ministro degli Esteri, a rinviare la questione del riavvicinamento
egizio-siriano, sotto pressione dei paesi del Golfo, come non è
inutile ricordare che questa logica è sostenuta dal popolo siriano.
In effetti, se le decisioni della Lega hanno trovato un’eco favorevole
presso una parte dei Siriani, l’altra parte ha reagito con manifestazioni
massive e ripetute. È così che le decisioni della Lega
hanno messo in movimento le forze del patriottismo arabo in sostegno
della Siria contro ogni intervento straniero.
In queste condizioni, sembra che la condizione siriana si diriga verso
una sempre maggiore complessità, in quanto sul controllo della
sicurezza interna interferisce l’immensa pressione dall’esterno.
Ma alcuni, tra cui in particolare i Russi, sostengono che il regime
è ancora capace di realizzare un’importante passo avanti
in materia di riforme politiche, per le quali si dovrebbe accelerare
il passo in modo da portarle alla realtà dei fatti. È
ciò che ha condotto Mosca a giocare un ruolo di mediatrice e
a ricevere una delegazione del CNS. Questa direzione segue alla “Conferenza
d’Antalya”, che si proponeva di riunire i rappresentanti
di tutti i partiti costituiti di oppositori siriani su base estera,
e che si è concluso con un appello alla caduta del regime di
Bachar el-Assad.
Recentemente, un certo numero di paesi arabi ha espresso la reale inquietudine
nel caso di eventuali “passi falsi” contro la Siria.
Ma è interessante notare che queste riserve sono state rifiutate
da Nabil Arabi e dallo sceicco Hamed, e che gli emendamenti al “protocollo”
proposti dall’Algeria non siano stati presi in considerazione.
Alcuni suggeriscono che i tentativi per infiammare la situazione in
Egitto siano in relazione diretta con altri dossier arabi e internazionali.
Del resto la dichiarazione ufficiale dell’Egitto non rifletteva
un grande entusiasmo, né per accogliere il CNS, né per
un’intervento internazionale negli affari interni della Siria.
I pessimisti arrivano a credere che il Mondo arabo stia vivendo una
tappa di disintegrazione della Lega Araba o la sua sottomissione ai
diktat dei paesi del Golfo, che avrebbero bisogno dell’indebolimento
del ruolo dell’Egitto, per cominciare.
Altri pensano che la battaglia regionale/internazionale abbia raggiunto
il suo culmine fornendo un’occasione favorevole per attaccare
la Siria come preludio all’accerchiamento dell’Iran. Ma
questo supporrebbe che lo schieramento opposto, vale a dire l’Iran,
la Siria, Hezbollah, la Russia, fossero pronti a uno scontro, in aggiunta
alla complessità e alla durata della crisi siriana. A meno che
non si verifichi un avvenimento interno inatteso, e che la situazione
non degeneri in un conflitto con la Turchia, la Giordania, o…
Nel mezzo di tutte queste problematiche, il Libano dovrà probabilmente
confrontarsi con una serie di sconvolgimenti della propria politica
e sicurezza, poiché la maggior parte dei suoi politici definisce
la propria politica in funzione della propria posizione sulla crisi
siriana.
Commento della traduttrice in francese Mouna Alno-Nakhal
La guerra contro il popolo siriano non è di certo una “guerra
dichiarata”, in quanto sprona l’opinione pubblica a
interessarsi alla sua sorte in nome della pretesa “responsabilità
di proteggere”, che sembra emergere come il mezzo ideale
non per evitare la sua malriuscita, ma per fuorviare la nostra comprensione
dei problemi reali. Poco importa che il popolo si mobiliti instancabilmente
per mesi, per manifestare nella sua maggioranza il proprio sostegno
al Presidente, lasciando da parte le richieste di riforme, divenute
secondarie a fronte di un pericolo che l’ha messo a gran prova.
Poco importa che esso rifiuti ogni ingerenza o intervento straniero,
e che affermi il suo rifiuto di cedere all’escalation di violenza
e agli squadroni della morte teleguidati e finanziati dall’estero.
Poco importa la verità dei fatti a coloro che li snaturano, tanto
che la nostra opinione pubblica continua a credere che il popolo siriano
sia vittima dei suoi dirigenti, invece che obiettivo delle potenze straniere.
Ancora una volta la grande maggioranza dei giornalisti gioca sul conflitto
tra il Bene e il Male. Le loro menzogne sono delle armi ben più
dannose e soprattutto “umanamente” più accettabili
di un intervento militare, reso momentaneamente impossibile per “ragioni
tecniche” come ci spiega Sami Kleib; alcuni giornalisti che
praticano contro il popolo siriano una strategia che potremmo qualificare
come di “terrorismo mediatico”, con l’utilizzo
di informazioni errate e non verificate, di video evidentemente modificati,
e di reportage totalmente menzogneri. Ciò si è visto con
la diffusione del reportage di Sofia Amara, che “Arte”
e la “Television Suisse Romande” hanno diffuso
e ridiffuso, malgrado il fatto che la sua mancanza di credibilità
non sia potuta passare loro inosservata, tenendo conto delle proteste
tempestive venute da persone direttamente coinvolte.
Ma qualcosa sta per cambiare. Sembra che non sia più assolutamente
indispensabile consultare siti internet non infettati da manipolatori
di ogni genere. In effetti, alcuni redattori dei nostri media “tradizionali”
cominciano ad alzare un angolo del velo gettato sulle nostre coscienze,
senza perlò rinunciare alla diffusione di informazioni false
o tendenziose che provengono da fonti più che dubbie, come l’OSDH,
il presunto “Osservatore Siriano dei Diritti dell’Uomo”
con base a Londra, e che fa una relazione quotidiana di un numero di
vittime, senza che si sappia nè chi ha contato i morti, nè
la loro identità, nè soprattutto chi li ha uccisi.
Testimone di questo cambiamento? Un articolo edificante, apparso nel
settimanale satirico “Le Canard enchainé”
del 23 novembre, intitolato: “Une intervention “limitée”
préparée par l’Otan en Syrie. En projet, una formation
à la guérilla des déserteurs syriens par les services
secrets français”! Gli estratti, qui ricopiati, la dicono
lunga su questa invenzione dall’esterno:
[…]
“I Turchi propongono d’instaurare una zona d’”interdizione
aerea” ed una zona tampone all’interno della Siria, destinata
ad accogliere i civili che fuggono dalla repressione e i militari disertori
(stimati a 8000, ufficiali superiori compresi, dai servizi informativi
francesi). Non è facile da realizzare, poiché necessiterebbe
che le basi aeree turche accogliessero gli aerei francesi e britannici”.
“Prima della realizzazione di questi progetti strategici, definiti
dal ministero della Difesa, i servizi segreti hanno avuto molto da fare”.
Nel Nord del Libano e in Turchia, dove si rifugiano molti disertori
siriani, gli ufficiali francesi della DGSE e britanncisi di MI 6 hanno
come missione la costituzione dei primi contingenti dell’Armata
siriana libera, ancora embrionale”.
[…]
“Disertori da mobilitare.
Una guerra anti-Bachar come intermediario, dunque? “Non si tratta
di ricominciare con ciò che è accaduto in Libia”,
conferma un officiale d’alto rango alla Direzione dell’informazione
militare. “Ma sono i Francesi e i Britannici che hanno preso i
primi contatti con i ribelli”. Contatti politici, con gli esuli
rifugiati a Parigi o a Londra, e militari, con i disertori, al fine
di valutare l’importanza relativa della loro Armata siriana
libera, che ha già attaccato numerosi edifici ufficiali”.
L’ASL, l’”Armata siriana libera”!?
Non esiste questa armata che ha rivendicato l’uccisione di sette
piloti militari siriani nell’autobus che li trasportava?
È necessario comprendere che è questa, vale a dire l’Armata
siriana libera, che elimina i fiori all’occhiello dei “difensori
della patria” (nome ufficiale dell’Armata siriana); è
la stessa che la Lega Araba vorrebbe promuovere esigendo che il governo
siriano allontani i soldati dell’Armata Nazionale dalle città
e dai quartieri abitati? Un’Armata che ha già perduto più
di mille soldati. In ogni caso è quel che sembra suggerire François
Zimeray, Ambascatore francese per i diritti dell’Uomo e commilitone
di Bernard-Henri Lévy, quando cerca disperatamente di convincerci,
su “Europa 1”, “della dimensione della
crudeltà della repressione siriana”. Non si perde
più in dettagli per comunicarci le proprie fonti, ma gioca piuttosto
su di una fibra sensibile di cui sembra egli stesso carente, tutto semplicemente
perché non può ignorare chi commette queste crudeltà.
Infine è irragionevole considerare che il problema non sia “in”
Siria ma sia “causato” dalla Siria, colpita dal
fuoco di mire egemoniche contraddittorie e scettica sul mettersi in
ginocchio, quando il suo popolo ha deciso di restare in piedi? E ci
riuscirà? Osiamo crederci.
[1] Si veda il contro-documentario, in 8 parti, che
mette gravemente in questione la credibilità del reportage: “Syrie,
dans l’enfer de la répression”, realizzato
da Sofia Amara, diffuso su Arte l’11 ottobre 2011.
[2] Mondialisation
[3] Le
Figaro