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Le rivolte arabe, la crisi ed il futuro
del mondo – Intervista a Igor Panarin
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13 agosto 2011 |
Igor Panarin è
un politologo russo, membro dell’Accademia delle Scienze
Militari, del Consiglio Scientifico e Metodologico e del Comitato
Federale per gli Affari della CSI; decano della Facoltà
di Relazioni Internazionali e docente di Relazioni pubbliche e
comunicazione di massa presso l’Accademia Diplomatica del
Ministero degli Affari Esteri. È autore di numerosi libri
sulla geopolitica e la propaganda di guerra. Antonio Grego l’ha
intervistato per il sito della rivista “Eurasia”.
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Avvertenza: l’intervista è stata iniziata a fine giugno
e completata i primi di agosto 2011, di conseguenza ci possono essere
delle incongruenze temporali fra il testo dell’intervista e la data
di effettiva pubblicazione.
Antonio Grego: Partiamo dall’attualità, l’evento
geopolitico più significativo di questi mesi è sicuramente
la cosiddetta (dai mass media occidentali) “primavera araba”
ovvero le rivolte che hanno sconvolto, e stanno ancora infuocando, quasi
tutti gli Stati arabi dal Marocco fino alla Siria, escluse, curiosamente,
le monarchie petrolifere della penisola arabica e la Giordania. Può
illustrarci il suo punto di vista sulle cause di tali rivolte e su chi
ne può giovare?
Igor Panarin: Dal punto di vista dell’attuale
situazione, ci troviamo certamente un punto di svolta associato con
l’inizio della fase attiva della crisi. Infatti, il mio ultimo
libro “Il mondo dopo la crisi, o quali sono le prospettive”
è arrivato puntuale e ha praticamente indovinato quello che sta
avvenendo adesso, dato che ho scritto questo libro alla fine dell’anno
scorso. L’inizio della fase attiva della crisi, diciamo, è
l’inizio di Marzo 2011 e il completamento sarà il dicembre
2012. Ma perché la destabilizzazione è iniziata proprio
nel Vicino Oriente?
Voglio brevemente ricordare che circa 5 – 6 anni fa, gli Stati
Uniti hanno proposto il concetto del cosiddetto Grande Medio Oriente,
nel quale inclusero l’Iraq, l’Iran, l’Afghanistan
e, direttamente, il Vicino Oriente. E l’idea di tale scenario
geopolitico è quella di estendere in qualche modo questa zona
di conflitto dall’Iraq e dall’Afghanistan direttamente fino
alla zona a ridosso dell’Europa.
Dal mio punto di vista, la causa principale dei conflitti nel Vicino
Oriente arabo – è di tipo economico e finanziario. Voglio
ricordare che la situazione ha cominciato a degenerare a partire dalla
Tunisia, Paese arabo relativamente prospero, dove c’è una
percentuale abbastanza alta di persone che conoscono la lingua francese,
si studia nelle università e nei collegi francesi, e, in generale,
questo Paese era abbastanza “democratico” rispetto
alla media dei Paesi africani.
E la prima fiammata di tensione è avvenuta esattamente per merito
di Julian Assange. Assange, a mio avviso, è un dipendente della
British Intelligence MI-6, ma fondamentalmente di un tipo nuovo –
è un collaboratore “illegale”, una cosa
del genere era già stata realizzata prima, con la creazione del
cosiddetto «Partito Pirata» in Svezia, raccogliendone
un gruppo. In modo simbolico, lo strano scandalo sessuale associato
al suo nome, è finito nel nulla.
Assange in qualche modo è andato a Londra da sé, ed ecco
che sono passati già più di sei mesi e non lo hanno estradato
né in Svezia, nè negli Stati Uniti, inoltre – ormai
è completamente dimenticato, ma ha compiuto la sua funzione –
esiste questo termine “pistola monouso”. Il colpo è
stato fatto con l’aiuto di Internet, utilizzando il sito Wikileaks,
che sostanzialmente ha provocato diversi omicidi mirati. Innanzitutto,
sono state date alcune informazioni vere sui crimini dei militari Usa
in Iraq e in Afghanistan.
In primo luogo, questi crimini sono stati ritoccati, come risulta dai
documenti questi crimini in realtà sono 10, 20 volte peggiori,
invece là si parlava solo di alcuni casi particolari. L’opinione
pubblica mondiale ha percepito queste “rivelazioni”
di Wikileaks come una fonte di nuove informazioni, dato che
è apparsa una fonte affidabile. Hanno formulato questo obiettivo
soprattutto dal 2006, quando all’interno della finanza anglo-americana
è nata l’idea di prendere il controllo del Vicino Oriente.
In quello stesso periodo avvenne un fatto molto importante – il
dichiarato taglio del personale della stazione radiotelevisiva della
BBC. Queste persone, che sono inglesi che conoscono la lingua araba,
non sono andati da nessuna parte perché tutta la redazione araba
della BBC praticamente al completo si è spostata su Al-Jazeera.
Vorrei sottolineare che questa è in pratica la BBC, la sua redazione
araba. Ovvero Al-Jazeera per un certo periodo di tempo avrebbe mostrato
di agire in modo indipendente, creando nel mondo arabo un clima di fiducia,
ed ecco, come sono stati creati due meccanismi di informazione che hanno
iniziato a sconvolgere la situazione nel Vicino Oriente.
In linea di principio, la destabilizzazione del Vicino Oriente è
iniziata. E i principali obiettivi globali dell’azione dei due
strumenti mediatici predetti sono, naturalmente, la Libia e la Siria.
Perché la Libia? La Libia non forniva, paradossalmente, alcun
pretesto per l’aggressione, perché era il Paese più
prospero dell’Oriente arabo. Lo stipendio di un’infermiera
era superiore a quello degli Stati Uniti, per non parlare degli altri
paesi arabi, più di tremila dollari. Lo standard di vita in Libia
era il più alto in Africa.
Sembrerebbe, pensando con le categorie della democrazia, che gli europei
dovessero invece accogliere e sostenere questo regime e insegnare agli
altri come in Libia si è ottenuto questo risultato. Ma dal mio
punto di vista, il momento chiave è stato prima di tutto quando
la Libia ha cominciato a mostrare realmente elevati tassi di crescita
economica; secondo: il più alto livello di qualità della
vita tra i Paesi africani; terzo: avvicinandosi al Sud Africa. Insieme
al Sud Africa, membro del BRICS, formando un nuovo centro di potere
economico. Si stavano realizzando piani per costruire una ferrovia attraverso
tutta l’Africa, tra il Sudafrica e la Libia. Questo è un
progetto immenso. E le RZD (Ferrovie Russe) potevano ottenere profitti
per decine di miliardi di dollari. Ma non solo la Russia trarrebbe beneficio
da questo progetto, ma gioverebbe all’intero continente africano
in generale, perché la ferrovia è prevista passare in
tutte le principali zone di conflitto (così chiamiamo anche il
Congo e l’Angola, il Mozambico e altre aree), – questo significa
comunicazione, questo è costruzione, questo è il progresso.
Naturalmente, si poteva posizionare l’Africa su un piano fondamentalmente
diverso di sviluppo socio-economico. Ma perché tali piani non
piacevano? Perché, in effetti, la Cina ha cominciato ad essere
attiva in Libia, sono stati firmati accordi, e dal mio punto di vista,
la ragione principale della guerra con la Libia è che si tratta
a tutti gli effetti di una guerra contro i BRICS. Perché il Sudafrica
(poco prima il Sudafrica sull’isola di Hainan è stato ammesso
nei BRICS), alla fine dello scorso anno ha presentato la richiesta di
ammissione nei BRICS aprendo così la strada al potenziale ingresso
della Libia come la più sviluppata nazione della parte araba,
se la costruzione della ferrovia transafricana iniziasse in realtà
cambierebbe radicalmente la situazione finanziaria ed economica del
mondo.
E dal mio punto di vista, è stata la causa principale dell’aggressione
contro la Libia. Naturalmente, ci si chiede: perché anche l’Italia,
un Paese che è interessato a sostenere la Libia in questi progetti,
partecipa all’aggressione? Penso che sia a causa della debolezza
della politica estera italiana, come nel caso dei problemi sull’isola
di Lampedusa. Recentemente sono stato in Italia, ho visto che al confine
tra Italia e Francia l’accordo di Schengen praticamente non funziona.
Penso che questa sia un’azione contro l’Europa, con lo scopo
di dividere l’Europa.
A.G.: E infatti la guerra in Libia ha anche evidenziato le
divisioni, se non gli aperti contrasti, fra i vari Paesi europei. Si
pensi in particolare alla guerra diplomatica tra Italia e Francia per
la questione dei “profughi” provenienti dal Nord-Africa…
I.P.: Sì, tra Italia e Francia, e Inghilterra anche. In realtà,
è un duro colpo per l’Europa, per l’euro in definitiva.
Infatti vediamo che subito dopo l’inizio di questi eventi atti
a destabilizzare il Vicino Oriente, è iniziato il caos in Grecia,
Portogallo e altri Paesi europei. E anche in Italia la situazione è
difficile. Perché? È molto semplice, in cambio della democrazia
nel Vicino Oriente, in Europa si sono riversati centinaia di migliaia
di poveri. A loro si deve fornire cibo, medicine, questo richiede denaro,
che gli europei non hanno a sufficienza nemmeno per se stessi. Pertanto,
in questo caso, a mio avviso, la causa principale (della guerra in Libia
e della crisi degli Stati europei, n.d.t.) è la lotta contro
la speculazione finanziaria, non solo dell’Africa ma anche dell’Europa.
Soprattutto la Libia – era uno dei pochi Paesi che riforniva l’Europa
stabilmente di petrolio e gas. Quindi, come risultato del caos sopravvenuto,
della guerra civile che hanno scatenato, sull’Europa sicuramente
ricade tutto il costo di questa aggressione militare.
In generale, questa situazione assomiglia a quella dei bombardamenti
sulla Serbia. Sono stato recentemente a Belgrado e ho visto gli edifici
distrutti del Genstab, quelli che non amano far vedere perché
non solo il Genstab – la sede del Ministero degli Interni –
era distrutto ma anche un ospedale materno-infantile è stato
bombardato. Questo è un autentico sacrilegio. Cosa è successo
quando sono iniziati i bombardamenti contro la Jugoslavia? Mi limiterò
a fornirvi un esempio, ovvero che il cambio tra l’euro e il dollaro
prima dei bombardamenti era di 1,18 a uno e 1,16 a uno. Quindi, una
volta iniziati i bombardamenti, l’euro è subito crollato
drasticamente (il 1° gennaio 1999 nasce l’euro e vale 1,16675
dollari, poco prima dei bombardamenti in Serbia sale fino a 1,18 per
poi crollare al punto di raggiungere la parità con il dollaro
alla fine dell’anno, n.d.t.). Cioè, l’Europa è
in realtà uscita sconfitta da questa guerra e la sua moneta nazionale
pure. E la stessa cosa la vediamo nella situazione con la Libia, che
in realtà è molto simile.
Dal mio punto di vista, il principale obiettivo è di salvare
in qualche modo il dollaro da questi colpi, e farlo utilizzando, ovviamente,
le armi dell’informazione. Queste nuovi armi informative a scopo
di destabilizzazione sono, naturalmente, «Wikileaks» e Al-Jazeera.
In Libia, abbiamo visto semplicemente una criminale campagna di disinformazione,
che coinvolge anche persone ignare… e in Siria si è visto
che un unico blogger, che raccontava di uccisioni di persone da parte
del governo, era in realtà un cittadino statunitense.
E tutte queste informazioni semplicemente venivano riprese dagli altri
media, come quella delle presunte persone uccise nelle manifestazioni…
In generale, la sceneggiatura sia in Libia che in Siria era praticamente
identica. Informazioni false, la loro diffusione…
A.G.: Allora possiamo quindi dire che la guerra contro la Libia
è una guerra contro l’Europa, giusto? E chi ne trae giovamento?
I.P.: Sì, questa è una guerra contro l’Europa. Per
inciso, in questa situazione, vediamo che il ruolo chiave è stato
giocato da nazioni europee come l’Italia e la Francia, che sono
stati usati come attori, mentre dietro le quinte si è posizionato
il Regno Unito. Al contrario gli Stati Uniti fanno in modo di mostrare
di non essere coinvolti in questa guerra. Si tratta di un fenomeno nuovo
rispetto al passato.
Dal mio punto di vista, negli Stati Uniti ci sono due gruppi di forze
in lotta fra loro.
Se si effettua una panoramica generale geopolitica questa è naturalmente
anche una guerra contro la Russia e la Cina, perché la Russia
ha molto da perdere in Libia e nel tentativo di destabilizzazione in
Siria – questo è chiaramente un gioco anti-russo. La Russia
perde la sua posizione geopolitica, l’unico sbocco sul Mar Mediterraneo,
dove in precedenza erano basate le navi della Flotta del Mar Nero dell’Unione
Sovietica. In realtà, la Siria è un nostro partner strategico.
A cosa è connesso questo? Al fatto che nel Vicino Oriente, la
Siria ha mostrato un modello di prosperità economica e pacifica
convivenza per tutto il Mediterraneo.
La Siria ha dimostrato che, all’interno, i suoi tre gruppi più
influenti: i musulmani sunniti, gli alauiti, vicini agli sciiti, ed
i cristiani, sono stati in grado di raggiungere un consenso. Non ci
sono mai stati conflitti religiosi. Questa è una situazione unica.
E questo non piace alle forze della destabilizzazione. Mi piacerebbe
vedere la Siria come potenziale membro della formanda Unione eurasiatica.
E in questo senso la perdita della Siria oltre alla Libia e’ un
colpo di potenza maggiore per l’Europa. C’è una domanda
– perché la Russia non ha messo il veto sulla Libia. Posso
dire che in una conferenza a Belgrado, questa è stata la prima
domanda della televisione serba. Lì ho parlato per 80 minuti
presentando il rapporto – «Le future azioni e la crisi
globale».
A.G.: I casi di rivolte più controverse e più
simili tra loro per modalità e impatto mediatico sono quello
della Libia e quello della Siria. Nel primo caso la guerra civile si
è evoluta in un intervento armato occidentale che vede partecipare
anche l’Italia, pur se questo va contro i suoi stessi interessi
nazionali, avendo precedentemente firmato un trattato di amicizia e
avendo ormai perso miliardi di dollari di investimenti. In Siria sembra
che si stia ripetendo lo stesso scenario, ma, al contrario della Libia,
la Russia ha detto di opporsi categoricamente ad ogni risoluzione ONU
di condanna. Quali sono gli interessi russi in gioco, nel caso della
Libia e della Siria e perché nel caso della Libia la Russia ha
di fatto avallato (pur prendendone le distanze) l’aggressione
armata della NATO?
I.P.: Innanzitutto, io sono stato uno di quegli esperti e persone competenti
che chiedeva fortemente per la Siria una tale posizione (di porre il
veto ad ogni risoluzione di condanna, n.d.t.). Soprattutto prima che
il governo prendesse una decisione. Sono quindi molto contento che la
posizione da me richiesta sia stata adottata dal governo russo. Dal
mio punto di vista sulla Libia ci sono stati due fattori che hanno portato
la Russia ad agire così. La Russia da sola non poteva fermare
l’azione della NATO. Era necessario sviluppare dei meccanismi
all’interno dei paesi BRIC e dello SCO.
Ma a quel tempo la situazione si era sviluppata così rapidamente
che i legittimi meccanismi legali, la consultazione veloce e la ricerca
di soluzioni pratiche, non potevano essere utilizzati, poiché
la situazione si era evoluta molto rapidamente, e la Russia da sola
non poteva sopportare una simile coalizione, che comprendeva le nazioni
europee, tra cui il nostro più stretto amico: l’Italia.
Qui ci saremmo danneggiati in altri aspetti.
Riconosciuta criticamente l’esperienza della Libia, un gruppo
di analisti, me compreso, ha preso una posizione netta richiedendo categoricamente,
al momento di decidere, di non permettere tali sviluppi, e sono molto
contento che questa visione sia stata accettata. Dal mio punto di vista,
la situazione con la Siria assomiglia alla situazione dell’agosto
2008 (si riferisce alla guerra con la Georgia, n.d.t.), quando assolutamente
non potevamo cedere. Questo ulteriore caos in Siria potrebbe portare
alla trasmissione di onde di instabilità nel Caucaso. A proposito
di questo, ero alla fine di maggio in Armenia.
Dall’Armenia, la Siria sembra un Paese vicino. Là si è
svolta una grande conferenza dei paesi CSTO e si è discusso di
vari scenari con la partecipazione di americani, di francesi, che erano
invitati al dialogo. E il mio punto di vista alla fine di maggio era
che in Siria si deve restare fermi e prevenire la destabilizzazione.
Altrimenti i nostri piani di sviluppo economico, la concentrazione delle
risorse nei processi di integrazione in Eurasia, falliranno, in quanto
saremo occupati nel ristabilimento dell’ordine nel Caucaso del
Nord e in Transcaucasia, così come i tentativi di riportare il
problema del Karabakh dallo stallo alla risoluzione pacifica della zona
di conflitto.
In questo senso, la Siria potrebbe essere il punto di partenza per destabilizzare
tutto il Caucaso. Questa eventualità non è ammissibile
per noi, credo, insomma, che abbiamo agito correttamente. Ed io ero
proprio a Belgrado quando vidi i reportage da New York, le nostre rivendicazioni
al Consiglio di Sicurezza. E sono molto contento che questa posizione
ha trionfato in Russia. La Russia, dal mio punto di vista, ha tenuto
per se l’unica linea corretta.
A.G.: So che in Siria, inoltre, vi è una base navale
russa, quindi non è solo una questione di stabilità nel
Caucaso, ma anche nel Mar Nero. E anche nel Mar Mediterraneo. Pertanto,
se la Siria sarà destabilizzata e neutralizzata, allora la Russia
perderà definitivamente influenza nella regione mediterranea.
I.P.: Io, inoltre, sostengo con vigore un’espansione considerevole
della nostra presenza in Siria, non solo della marina, ma anche dell’informazione.
Ciò significa che non possiamo assolutamente permettere il copione
libico dell’intervento militare della NATO in questo paese.
A.G.: Gli Stati Uniti stanno attraversando una fase di crisi
profonda sia sul piano economico che politico-militare dopo la scoppio
della bolla finanziaria nel 2008, eppure continuano ad avere l’iniziativa
diplomatica e militare mostrando un’aggressività anche
maggiore rispetto alla precedente presidenza di Bush. Con la presidenza
Obama infatti, abbiamo visto un cambiamento di strategia che riguarda
più la facciata (guerre per esportare la democrazia e i diritti
umani al posto della crociata contro il terrorismo) che la sostanza
che continua ad essere in ogni caso espansionista. Come mai, nonostante
l’evidente indebolimento, gli statunitensi continuano con la loro
politica aggressiva di sempre?
I.P.: Be’, in primo luogo per quanto riguarda la situazione interna
negli Stati Uniti, possiamo dire che la situazione economica e politico-militare
non sia migliorata. Gli Stati Uniti sono entrati nel punto critico.
Cosa significa? Sono stato nel mese di novembre dell’anno scorso
negli Stati Uniti e monitoravo le elezioni. Il 2 novembre, ci fu un
gran numero di elezioni: dei governatori, al Congresso… E in queste
elezioni ci sono stati cambiamenti fondamentali negli Stati Uniti, quando
dentro gli USA è apparsa una forza che vede il futuro in modo
diverso, in modo diverso rispetto l’attuale amministrazione ed
alle amministrazioni precedenti. Questa forza si chiama Tea-party.
Questo partito comprende i rappresentanti dell’ala conservatrice
dei repubblicani. Ma non solo. Questa è una visione un po’
diversa del mondo. Un tempo in America c’era il “partito
degli isolazionisti”. Questo partito emerse sia prima della
prima guerra mondiale e che prima della seconda. Gli esponenti di questo
partito dicevano che gli Stati Uniti non dovrebbero essere coinvolti
in conflitti interni tra Paesi nel mondo. Dicevano che è necessario
di ritirare le truppe e mettersi a lavorare sulla propria economia.
In un certo senso i membri del Tea-party sono i loro successori che
invitano a ritirare le truppe, a dedicarsi ai problemi interni, a bloccare
i bonus alle banche, a bloccare la riforma sanitaria, e in generale
a smettere di pompare l’economia con denaro stampato dal nulla.
Questa forza ha vinto quelle elezioni. Ma il fenomeno di questo movimento,
nonostante l’assenza di un capo riconosciuto (è un nuovo
tipo di partito strutturato a rete) e di una struttura gerarchica rigida
e di un’ideologia, consiste d’altra parte in valori chiari
– una famiglia forte, sport, salute, non interventismo in politica
estera. Così possiamo formulare il loro credo.
A.G.: Quanto sono forti questi nuovi movimenti politici in
USA? E chi sono i loro rappresentanti?
I.P.: Prima di tutto citerei Ron Paul, è un membro del congresso.
È uno dei leader. Ma è inoltre importante che alle elezioni
al Congresso abbia vinto suo figlio (Rand Paul, n.d.t.). È piuttosto
giovane. A differenza dal padre è più dinamico, ha poco
più di quarant’anni. C’è una lotta in corso
tra queste forze.
Ma la domanda principale è: cos’è successo alla
fine di maggio? Quei membri del Tea-party hanno vinto in molti stati
nelle assemblee legislative. E nello Utah hanno preso, dal mio punto
di vista, una storica decisione.
La storica decisione è che invece di dollari di carta, hanno
iniziato a stampare dollari d’argento e d’oro. Ed è
stato fatto legalmente, secondo la legge, cioè è un atto
legittimo. E dal mio punto di vista, su questo c’è un vuoto
di informazioni completo. E ora altri quattro Stati vogliono prendere
una decisione simile. Vi ricordo che secondo la mia versione l’assassinio
del presidente Kennedy è legato al fatto che ha deciso di stampare
dollari d’argento. Ed erano stampati per una somma di 4 miliardi.
Ma fu ucciso, e il giorno dopo l’uccisione tutti e 4 i miliardi
furono distrutti. Obama non è stato ancora ucciso, ma questa
decisione di stampare dollari con controvalore in oro e argento non
è stata presa da Obama, ma dai parlamenti dei singoli Stati.
In molti Stati degli USA il movimento del Tea-Party e’ abbastanza
influente. Ecco la difficoltà. Un Kennedy si può uccidere
e poi distruggere i dollari. Ma, in questo caso, in una manifestazione
a Washington del Tea-party nell’agosto del 2009 sono
accorse 1.200.000 persone, è una massa enorme di persone. La
seconda differenza rispetto a Francia e Russia è che negli Stati
Uniti vi è un tale problema per le autorità: negli Stati
Uniti c’è un numero di armi da fuoco pari a circa 250 milioni.
Pertanto, se si cerca fisicamente di costringere milioni di persone,
in pratica inizia una guerra civile, una sparatoria generalizzata. Tra
le fila di questo movimento ci sono parecchi agenti di polizia, addetti
dei servizi di sicurezza, questo rende impossibile l’uso della
forza per reprimerlo.
Questo movimento sta guadagnando slancio dal mio punto di vista. Citando
dei nomi influenti direi l’ex segretario di Stato Becker, che
gravita pure in questa direzione. William Burns – analista di
massimo livello, vice segretario di Stato USA. L’ex segretario
della difesa Robert Gates. E ancora un gruppo presso l’Università
di Harvard – la scuola dell’amministrazione nazionale –
un centro intellettuale che sta sviluppando questo concetto. In linea
di principio, a poco a poco, paradossalmente, in America si è
creato un centro di potere alternativo. Questo centro di potere inizia
sempre di più ad aumentare di peso. Questo centro di potere richiede
il ritiro delle basi americane da tutto il mondo, il ritorno delle truppe
americane dall’estero.
Ad esempio, l’uscente ministro della Difesa Robert Gates ha detto
di recente che le prospettive del blocco NATO sono molto fosche. Nel
mio ultimo libro ho scritto che, in generale, la NATO cesserà
di esistere. È interessante notare che quasi la stessa idea,
tre mesi dopo che il libro è stato pubblicato, viene annunciata
dal segretario della Difesa degli Stati Uniti. Qual è il problema?
È che gli USA finanziano il 75% dei costi dell’alleanza
NATO, ma gli stessi Stati Uniti sono sostanzialmente finanziariamente
falliti. Siamo nella situazione del 2 agosto, quando sarà (era,
n.d.t.) possibile il default. E, praticamente, la situazione del Vicino
Oriente è strettamente legata alla possibilità di default
degli Stati Uniti. Infatti, tutti i tentativi di risolvere la situazione
non hanno avuto successo. E una tale situazione, non la ricordo negli
ultimi 10 anni.
All’interno degli USA c’è, a mio avviso, una lotta
molto dura, gli stati membri degli Stati Uniti sono a favore di un dollaro
regionale, che sarebbe supportato dall’oro e dalle loro valute,
e avrebbe corso legale in USA, in Canada e, probabilmente, in Messico.
Perché vi è inoltre l’idea di un dollaro del Texas,
che si baserebbe sul complesso energetico e petrolifero e di fatto diventerebbe
la moneta della zona industriale tra il Messico ed il Texas. Non è
un caso che all’interno del Tea-party si ritrovi gran parte dell’élite
del Texas. Si tratta di un fenomeno nuovo. Due anni fa, quando ero in
Texas e ho incontrato i sostenitori del Tea-party, a tutti sembrava
che fossero una sorta di emarginati, che fosse solo uno spettacolo.
Sono stato il primo politologo russo che li ha incontrati e li ha presi
molto sul serio.
E il tempo ha dimostrato la correttezza di questo approccio. Il tempo
ha dimostrato che sono una forza molto potente, questo fatto non è
stato previsto né dagli esperti di politica americani né
da quelli mondiali. Ma ecco che questa forza è apparsa, si distingue,
e influisce sulla politica interna ed estera. Aumenta la sua influenza.
Nelle elezioni del 2012 la possibilità di vittoria per Ron Paul
o suo figlio è piuttosto elevata. Perché sono loro i veri
leader che possono radicalmente cambiare l’America. Sempre che
non applichino anche a loro gli stessi metodi usati con John Kennedy.
A.G.: Gli altri poli geopolitici mondiali, in particolare il
blocco eurasiatico rappresentato dallo SCO (Shanghai Cooperation Organisation)
non sembrano approfittare di questa debolezza degli Usa ma al contrario
esibiscono passività e stentano a proporre della alternative
alla supremazia statunitense nel mondo. Per non parlare dell’Europa
che pare finita in un vicolo cieco sia sul piano economico che politico.
Come mai?
I.P.: Innanzitutto va detto che la Russia non può agire attivamente
senza la Cina. Va ricordato che dopo l’incidente di Fukushima,
il Giappone è, di fatto, escluso dalla lista delle principali
potenze economiche. Secondo alcuni esperti si stima che l’industria
automobilistica del Giappone è rimasta indietro di 40-50 anni.
Questo era un pilastro fondamentale per la crescita dell’economia
giapponese. È chiaro che le vere informazioni vengono dosate
e nascoste. Questo cambia radicalmente la situazione. Perché
il BRICS ha iniziato attivamente a svilupparsi?
Perché c’erano due modelli di comportamento in Cina. Nel
2006, venne presa la decisione della creazione tra Giappone, Corea del
Sud, e la stessa Cina della valuta regionale ACU (Asian Currency Unit,
n.d.t.). La decisione è stata presa ma non ha avuto seguito per
diversi motivi. I leader del Giappone che sostenevano il progetto e
volevano integrarsi più con la Cina che con l’America sono
stati allontanati dal potere.
Volevano chiudere le basi americane, ma ancora oggi il problema non
è risolto, così la Cina sperava in un riavvicinamento
con il Giappone, ma nel primo caso gli americani non lo hanno permesso,
e nel secondo caso ora vediamo in che condizione è il Giappone…
a mio avviso, la Cina è passata ad essere più attiva nel
BRICS e nello SCO ma hanno questo modello di comportamento: loro non
vogliono mettersi in prima fila. Perché lo SCO o il BRICS? I
cinesi vorrebbero mettere la Russia a combattere in prima linea, mentre
loro restano dietro. Ma per la Russia questo non va bene, non siamo
abbastanza forti per resistere al blocco NATO.
In questo consiste la tattica della Cina. La tattica di sovraccaricare
gli Stati Uniti fino al punto che raggiungeranno il punto di crisi e
sarà sufficiente un dito per farli cadere e andare in pezzi,
senza cercare attivamente un confronto diretto. In questo senso, anche
la Russia deve agire pragmaticamente, perché è chiaro
che il potenziale economico e politico-militare attuale della Russia
non è sufficiente per la collisione frontale con la NATO. Quindi,
ecco, credo che il problema sia la politica più cauta della Cina.
L’obiettivo centrale della Cina è l’annessione di
Taiwan nel 2016. Dopo di che, la Cina intraprenderà una politica
estera più attiva. La Cina è pronta a perdere i suoi interessi
economici in Libia, se in cambio il problema con Taiwan si risolvesse.
Sono rimasti cinque anni. Penso che il problema con Taiwan si risolverà.
La riunificazione con Taiwan penso che avverrà come previsto,
e gli Stati Uniti non potranno opporsi. Sarà la grande Cina.
Questo cambierà radicalmente la situazione.
A.G.: Ma gli Stati Uniti sono ancora presenti a Taiwan, che
continuano a rifornire periodicamente di armi, e non sembrano intenzionati
ad andarsene…
I.P.: Sì, ma credo che in questi 5 anni, l’economia cinese
si espanderà ancora… inoltre, nel 2012, avverranno cambiamenti
globali – cambierà il potere in Russia, in America. Penso
che negli Stati Uniti la lotta sarà molto dura, aspra. In Cina
pure ci sarà un cambiamento di potere. La Cina mostra segni di
cambiamento interno – sono stato a Pechino nel mese di dicembre,
abbiamo discusso di questi problemi, ci sono diversi punti di vista
sul modello di comportamento della Cina, dove, negli ultimi sei mesi,
è in corso un’aspra lotta politica interna.
In questo senso, il periodo marzo 2011 – dicembre 2012 è
la chiave dello sviluppo futuro del mondo. Dal mio punto di vista, gli
Stati Uniti stanno perdendo il loro potenziale, ma fondamentalmente,
il “London Connection”, che opera attraverso il
sistema della Federal Reserve, non ha ad oggi un modello di gestione
ulteriore. Chiaramente, il crollo del dollaro può avverarsi in
un momento, quando la Cina eliminerà le sue riserve.
Sull’isola di Hainan, c’è stato un incontro storico.
Il BRICS ha deciso che dal 2012 i Paesi del BRICS effettueranno le transazioni
con le monete nazionali. In realtà l’abbandono del dollaro
è già cominciato. E gli eventi di inizio agosto 2011 con
chiarezza lo mostrano. Allo stesso tempo, la comparsa del dollaro in
oro e argento è considerata un’alternativa all’interno
degli Stati Uniti. Inevitabilmente presto avrà inizio la polarizzazione
all’interno del sistema finanziario degli Stati Uniti d’America.
Penso che il ritorno al Grande Medio Oriente, è un’operazione
che non ha avuto successo per un motivo preciso – penso che sia
un fallimento. L’operazione bellica contro la Jugoslavia è
durata solo 2 mesi. Posso dare questo dato, che la sconfitta militare
della Jugoslavia per opera del blocco NATO era impossibile. Dopo 40
giorni di bombardamenti sono stati eliminati solo 17 carri armati serbi
su 1.500 totali. Il gruppo di attacco della NATO era composto di 240
carri armati, sulle montagne sarebbero stati distrutti nel giro di una
settimana. Cosa ha deciso l’esito dei negoziati? Confrontiamo:
Milosevic, che è andato in trattative segrete con gli Stati Uniti,
i quali gli hanno dato garanzie che non hanno poi rispettato. E vediamo
Gheddafi, situazione analoga. Sebbene la situazione si protragga da
cinque mesi e il leader libico non accetti compromessi, comportandosi
come un combattente. In questo caso la NATO non può fare nulla.
A.G.: Voi ben sapete che in America, si utilizzano massicciamente
vari metodi di guerra psicologica. Ora Obama per un alto numero di persone
in Europa rappresenta un vero messia, un moderno profeta del progressismo
e dei “diritti umani” (premio nobel per la pace a priori).
Faccio notare, ad esempio, che tutti i media europei e mondiali hanno
celebrato con entusiasmo il fatto che da poco a New York una legge permetta
i matrimoni omosessuali.
Questo per l’Europa, e per molte persone nel mondo, è espressione
di libertà, l’America è ora il baluardo della libertà
del mondo contro le dittature e i “regimi oppressivi”. Questa
guerra psicologica è ampiamente utilizzata nel caso della Libia
e della Siria per giustificare le sanzioni prima e i bombardamenti poi.
Perché questa guerra psicologica funziona sempre così
bene?
I.P.: Perché è stato creato un potente strumento di impatto
psicologico. Tutti i canali delle televisioni globali danno la stessa
identica immagine del mondo. Cambia solo la forma ma non l’algoritmo
di base…
A.G.: E cosa la Russia, la Cina e gli altri membri del BRICS
possono fare per contrastare questa guerra non convenzionale?
I.P.: Ebbene, la Cina ha appena fatto. Ci sono stati due sviluppi importanti
recentemente. In primo luogo, con lo scopo di contrasto la Cina ha bloccato
il sito Wikileaks già nel 2007. Questo significa che prevedevano
la situazione. Così hanno fatto anche con Google. Il conflitto
con Google è stato generato dal fatto che Google stava cercando
di creare una rete nascosta per controllare nell’ombra i cinesi.
E in Cina c’è un pubblico enorme di utenti Internet –
463 milioni di utenti.
Devo dire che gli esperti cinesi di guerra dell’informazione sono
brillanti. E si attivano prima dell’inizio dell’operazione
di disinformazione per bloccare in anticipo le risorse. Quando si organizzò
la sedicente protesta democratica a Pechino, ad essa partecipò
persino l’ambasciatore degli Stati Uniti e si riunirono 50-60
giornalisti, ma fallirono. Ciò suggerisce che la Cina è
in grado di contrastare questo processo.
Il secondo esempio è molto interessante. Oggi il Brasile ha preso
l’iniziativa – la creazione di un nuovo database informativo
solo del BRICS (forse, al posto di Wikipedia). La creazione di una nuova
visione del mondo dell’informazione per il BRICS è un passo
da gigante.
Sono stato in Brasile nel febbraio di quest’anno e abbiamo partecipato
ad una tavola rotonda di discussione presso l’Università
cattolica di Rio de Janeiro, e dai nostri colleghi, per facilitare il
dialogo, è stato creato il centro del BRICS. Loro vedono il BRICS
come un potente strumento. Questa era la prima tavola rotonda con la
Russia del centro BRICS brasiliano. Il Brasile, la Cina già sono
piuttosto attivi. Per la Russia, è stato di fondamentale importanza
la creazione nel 2006 del canale Russia Today, che oggi trasmette in
inglese, arabo, spagnolo. Adesso inizia a trasmettere in lingua cinese.
A.G.: E in italiano?
I.P.: Non ancora, ma sono contento che ci sia anche il cinese. Erano
già tre anni che lo chiedevo. Tutto questo si sta lentamente
realizzando. L’attività di questo canale è già
un grande passo in avanti. Naturalmente le capacità della Russia
sono limitate rispetto a quelle dell’Unione Sovietica.
Tuttavia, durante l’Unione Sovietica, 11 anni dopo la creazione
del canale satellitare CNN non era stato creato niente del genere, sebbene
i soldi a disposizione dell’Unione Sovietica erano di un ordine
di grandezza superiore. Cioè si è verificata una sottovalutazione
del problema. I leader attuali della Russia comprendono il ruolo del
fattore informazione, vi prestano molta attenzione, ma dal mio punto
di vista non è sufficiente. Penso che il finanziamento di questo
settore debba essere aumentato.
A.G.: Ma ora i soldi ci sono per finanziare questi media…
I.P.: Sì, di denaro ce n’è molto, ma è assegnato
in maniera non sufficiente. C’è scarsa comprensione del
problema. C’è anche il blocco operato dai nostri concorrenti
– americani, inglesi… ci sono due fattori – la mancanza
di comprensione e l’impatto esterno.
A.G.: Nel suo libro del 2009 vi sono raccolti articoli e documenti
che dimostrano come lei aveva previsto già nel 1998 la crisi
finanziaria e valutaria iniziata nel 2008 e ancora in corso. Tuttavia
non si è ancora verificato lo scenario da lei pronosticato del
crack del dollaro e quindi della divisione degli USA in diversi Stati
indipendenti. Cosa non è andato secondo la sua previsione? Perché
il dollaro non è crollato?
I.P.: Il primo motivo – la questione di Dubai. Ricordo che nel
novembre 2009 a Dubai, si è verificata una situazione catastrofica.
È stato l’impulso che poteva portare al crollo del dollaro
e al collasso del sistema. Ma la situazione è stata frenata.
Per molti aspetti la situazione attuale nel Vicino Oriente è
una conseguenza del fatto che hanno congelato la questione di Dubai.
Il secondo motivo – ho suggerito che dal gennaio 2010, la Russia
avrebbe dovuto iniziare a vendere il petrolio non più in dollari
ma in rubli. Questo non è avvenuto. Se la Russia lo avesse fatto,
allora il crollo del dollaro sarebbe stato inevitabile. I leader russi
a quanto pare comprendono che la resistenza può portare a un
destino simile a quello di John F. Kennedy, che le forze che appoggiano
questo modello economico sono pronte a scatenare guerre, conflitti,
attentati terroristici.
Esempio: il tentativo di una guerra nucleare tra India e Pakistan. Con
l’aiuto dei terroristi di Mumbai. È stata una provocazione
con lo scopo di scatenare una guerra nucleare tra India e Pakistan.
In questo senso abbiamo deciso in un certo modo non solo perché
la Russia ha delle capacità limitate. Non abbiamo la possibilità
dell’Unione Sovietica di influire sulla situazione quando si prendono
decisioni. Vi ricordo che negli anni ’70 l’Unione Sovietica
era in grado di distruggere gli USA. Nel ’73 e nel ’75 l’Unione
Sovietica non sfruttò le occasioni per agire in questo senso.
Allora gli Stati Uniti si trovavano nel punto più basso.
Tali azioni possono essere intraprese soltanto da una persona che capisca
perfettamente i processi globali nel mondo. Quest’uomo in Russia
nel ventesimo secolo fu solo Stalin. Nessun altro poteva compiere tali
azioni se non lui. Stalin era in grado di liquidare l’Impero Britannico.
Che infatti nel 1946, cessò di esistere. Tutti gli altri eventi
successivi impallidiscono di fronte alle azioni di Stalin.
Dopo il 1917, dopo il crollo dell’Impero Russo, che è stato
realizzato da Londra, riuscì a colpirlo di nuovo per rappresaglia
dopo un breve periodo di tempo.
Oggi i leader russi capiscono i limiti delle loro risorse. Sebbene le
dichiarazioni ci siano state veramente. Ho suggerito idealmente, i leader
erano d’accordo, ma adempiere per la messa in pratica non potevano.
Penso che sia a causa della resistenza molto forte, che si rivelava
e si rivela. Da un lato questo è molto male, dall’altro
– quale «plus» della situazione – il crollo
deve essere pianificato, graduale.
Ora, penso che, con l’introduzione del dollaro in oro e argento
nello Utah, è chiaro che il crollo del dollaro è inevitabile….
La domanda è: come renderlo controllabile, non caotico. In questo
senso, la Russia potrebbe diventare una sorta di moderatore. Potrebbe
fermare gli attacchi – sono sicuro che essi sono finanziati dall’estero,
almeno la maggior parte di loro. Appena ci sarà tranquillità
si potrebbe promettere di non abbattere il dollaro. Ecco un possibile
tacito accordo, penso che in fondo per loro non sia una brutta ipotesi.
Stalin ha condotto negoziati con Churchill, Roosevelt. Risolse sia il
problema polacco che la questione iraniana e altri problemi estremamente
complessi. L’equilibrio del mondo era sull’orlo della terza
guerra mondiale, ma riuscì ad evitarlo. Allo stesso tempo anche
l’impero britannico cessò di esistere.
A.G. - C’è bisogno di una grande guerra per risolvere
tutti i problemi?
I.P.: Ci sono forze che credono che abbiamo bisogno di una grande guerra.
Perché è stato consegnato il generale Mladic? Penso che
non sia un caso. Si tratta di un elemento provocatorio per riattizzare
il conflitto nei Balcani, questo è un fattore di destabilizzazione.
Per molti attori, tali azioni sembrano essere le più promettenti,
perché pensano che la guerra possa risolvere tutti i loro problemi.
Ma sono convinto che la guerra non è assolutamente il modo migliore.
La guerra dell’informazione è un metodo più umano
per risolvere la situazione.
A.G.: Qual è lo scenario che lei ipotizza nel suo ultimo
libro appena uscito in Russia Il mondo dopo la crisi, o quali sono le
prospettive? Ce lo illustri per favore.
I.P.: L’idea principale di questo libro è la costruzione
dell’Unione Eurasiatica e la transizione ad un nuovo paniere di
valute mondiale. Yuan, euro, rublo e real brasiliano devono essere all’interno
di questo paniere.
Ma soprattutto credo che all’interno degli Stati Uniti sono apparse
forze a favore del consolidamento e contro il dollaro. C’è
bisogno di una collaborazione tra Russia e queste forze negli Stati
Uniti e questa collaborazione è possibile. In secondo luogo,
io sostengo una graduale transizione dal dollaro ad un nuovo paniere
di valute, senza caos. In terzo luogo, il BRICS – questa è
l’organizzazione più promettente al mondo. Ci dovrebbe
essere una gerarchia: in primo luogo le Nazioni Unite, poi il BRICS.
Penso che la NATO non abbia futuro. Poi tocca al mondo multi-polare,
che dovrebbe includere l’Alleanza delle Civiltà: la civiltà
Latino-americana è il Brasile, la civiltà cinese è
la Cina, la civiltà eurasiatica è la Russia, la civiltà
africana è il Sudafrica. Questa è una potente unione.
E l’unione con l’Europa, che dovrebbe liberarsi dalle catene
del dollaro. Io credo inoltre che l’Italia sia un paese chiave
per la Russia e dobbiamo essere stretti alleati.