E ora tocca alla Siria

M. K. Bhadrakumar Voltairenet 26 settembre
Traduzione a cura di Antonio Grego
Se la somiglianza tra i devastanti scenari di cambio di regime in Iraq e Libia è di qualche indicazione, il futuro del governo di Bashar al-Asad in Siria può essere appeso ad un filo sottile. Il nocciolo della questione – sottolinea questo analista – è che il cambio di regime in Siria è assolutamente centrale nei piani degli Stati Uniti per il Medio Oriente. Le poste in gioco sono così intrecciate che una serie di vantaggi strategici potrebbero essere conseguiti in un colpo solo, tra cui come minimo l’annullamento dell’influenza di Russia e Cina nella regione. Questa è un’opportunità che Washington non vuole lasciarsi sfuggire.
Le immagini trasmesse da Tripoli ieri sera avevano una familiarità inquietante. I clacson delle auto che suonano, Kalashnikov che sparano in aria, giovani e bambini che vagano senza meta per le strade disseminate di cumuli di detriti, cameraman occidentali che con entusiasmo si bevono le preziose parole pronunciate in un inglese stentato da qualunque abitante del posto che sproloquiando un misto degli ideali della Rivoluzione Francese del 1789 e della Magna Carta – le immagini sono fin troppo familiari. Da qualche altra parte, in un altro periodo, si sono già viste queste immagini, ma non si era esattamente in grado di identificarle con un posto preciso. Avrebbero potuto strisciare furtivamente fuori dalla soffitta della mente, come una fetta di memoria che era meglio dimenticare o eliminare dalla coscienza? Ora, la mattina dopo, è chiaro che i canali televisivi stavano solo riproducendo di nuovo le scene di Bagdad nel 2003.
Il racconto da Tripoli assomiglia stranamente a Bagdad: un brutale dittatore megalomane, che sembrava onnipotente, viene rovesciato dal popolo, e un’ondata di euforia si espande su una terra esausta. Appena le celebrazioni scoppiano, il benefattore e liberatore occidentale cammina al centro della scena, prendendo puntualmente posizione nel “lato giusto della storia”. Nel 19° secolo, avrebbe detto in Kenya o in India che stava portando il “fardello dell’uomo bianco”. Ora sostiene di portare l’illuminazione occidentale a persone che lo stanno chiedendo. Ma è una questione di tempo prima che la favola si esaurisca e l’agghiacciante realtà ne prenda il posto. In Iraq abbiamo visto come una nazione che era avviata verso gli standard di sviluppo dell’OCSE quasi 20 anni fa è stata ridotta alla miseria e all’anarchia.

Un colpo di stato
L’opposizione democratica della Libia è un mito evocato dai Paesi occidentali e dai governi arabi ‘filo-occidentali’. Ci sono profonde spaccature all’interno dell’opposizione e ci sono fazioni che vanno dai genuini liberali agli islamisti ad autentici avanzi di galera. Poi ci sono le divisioni tribali. La lotta interna tra le varie fazioni sembra una ricetta per un altro turno di guerra civile, in quanto le fazioni che non hanno né la legittimità né l’autorità rivaleggiano per il potere. La gravità delle fratture venne allo scoperto lo scorso mese, quando il comandante in capo dell’opposizione Abdul Fattah Younes è stato attirato indietro dal fronte con un pretesto falso, sottratto alle sue guardie del corpo e brutalmente torturato e ucciso dai ribelli appartenenti ad una fazione islamista.
I media occidentali hanno iniziato a discutere apertamente il ruolo svolto dalla NATO, che continuamente è intervenuta per incrinare l’equilibrio militare a sfavore di Muammar Gheddafi. La rivoluzione sembra più un colpo di stato istigato dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Ciononostante, l’alleanza occidentale si è impegnata per un tempo terribilmente lungo che si è esteso per oltre 6 mesi per far entrare i suoi ‘ragazzi’ a Tripoli. Gheddafi li tiene sulle spine per quanto riguarda la modalità della sua grande uscita. La verità sconvolgente è che Gheddafi dovrebbe decidere quando smettere di combattere, pur avendo gli uomini e il materiale sufficiente a prolungare la sua sfida ancora per un po’. La sua linea di condotta nelle prossime ore o giorni sarà di grande importanza per quanto segue. Se ci sarà un grande spargimento di sangue, probabilmente seguiranno atti di vendetta dei vincitori sui vinti. In termini politici, l’imminente caduta di Gheddafi non significa che l’opposizione ha vinto. Spogliata del supporto tattico della NATO, l’opposizione perderebbe. La domanda principale, dunque, sarà sul futuro ruolo della NATO in Libia. A latere sorge la domanda se la NATO ora intende rivolgere l’attenzione verso la Siria.

La NATO comprende il mondo arabo
Con la missione del ‘cambio di regime’ portata a termine con successo, la NATO dovrebbe lasciare il teatro libico. La risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata superata. Ma è troppo aspettarsi il ritiro della NATO. Il petrolio della Libia è stato il leit motiv dell’intervento occidentale. La recente tendenza di Gheddafi a rivolgersi a Russia, Cina, Brasile e India per invitarle a partecipare nel settore del petrolio della Libia, ovviamente, ha minacciato gli interessi occidentali. La retorica pro-democratica proveniente da Londra e Parigi è sempre sembrata falsa. L’intervento della NATO in Libia ha dilatato i limiti del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. L’alleanza si trova nella posizione ridicola di cercare la legittimità per la sua continua presenza in Libia dagli oscuri elementi spacciati per ‘forze democratiche’, il cui sostegno popolare è minimo, con il pretesto che c’è ancora del lavoro da fare.
C’è davvero un lavoro che sono in procinto di fare. Potrebbe anche rivelarsi come un nuovo Iraq e un nuovo Afghanistan. La resistenza all’occupazione straniera è destinata ad apparire il più presto possibile. Le tribù libiche sono immerse nel folklore della resistenza. D’altra parte, un grande paradosso della geopolitica è che le condizioni di anarchia forniscono esattamente il pretesto necessario per l’occupazione. La storia della Libia non sarà diversa da quella dell’Iraq e dell’Afghanistan.
L’intervento dell’Occidente in Libia introduce nuovi modelli nella geopolitica del Medio Oriente e dell’Africa. Esso ha portato la NATO nel Mediterraneo orientale e in Africa. Si tratta di un tassello della strategia statunitense post-guerra per plasmare l’alleanza atlantica in un’organizzazione globale con la capacità di agire nei “punti caldi” a livello globale, con o senza il mandato delle Nazioni Unite. Un ruolo fondamentale per l’alleanza nel ‘nuovo Medio Oriente’, appare senza ombra di dubbio. C’è un presagio inquietante nel riassunto delle vicende libiche fatto dal Vice Primo Ministro britannico Nick Clegg: «Voglio essere assolutamente chiaro: il Regno Unito non volterà le spalle ai milioni di cittadini degli Stati arabi che cercano di aprire le loro società, che cercano una vita migliore».
Stava parlando della Siria? Sicuramente Clegg non stava suggerendo che la Gran Bretagna è impaziente di “aprire” le società in Arabia Saudita o nello Yemen e in Bahrain trasformando le tribù che vivono là fuori in moderni cittadini. Con l’operazione libica che sta volgendo al termine, tutti gli occhi si rivolgono ora alla Siria. Il Wall Street Journal ipotizza: «Il successo libico si ripercuote sulla potenzialmente più importante ribellione in Siria… Già ci sono segnali che la Libia stia dando ispirazione ai ribelli che cercano di spodestare [Bashar al] Assad». Ma poi aggiunge anche un avvertimento, senza il quale la discussione rimarrà incompleta: «Ci sono differenze fondamentali tra la Libia e la Siria e il modello libico sarà difficile da replicare a Damasco».

L’Alta posta in gioco in Siria
Tuttavia, la mentalità occidentale è famosa per la sua capacità innovativa. Senza dubbio, la Siria occupa il cuore del Medio Oriente e se scoppia un conflitto lì potrebbe sicuramente sommergere l’intera regione – tra cui Israele e, possibilmente, Iran e Turchia. Dall’altra parte, le calibrate mosse occidentali nelle ultime settimane, pressando per le sanzioni, sono sorprendentemente simili a quelle adottate nel preludio all’intervento libico. Sono in corso intensi sforzi per creare una opposizione siriana unitaria. La riunione tenutasi la scorsa settimana in Turchia – la terza consecutiva – finalmente ha eletto un ‘consiglio’ che apparentemente rappresenta la voce del popolo siriano. Evidentemente un punto di vista che si sta accuratamente creando, che potrebbe essere cooptato ad un certo punto come interlocutore democratico dell’Occidente in rappresentanza della Siria. La foglia di fico del supporto della Lega Araba è inoltre disponibile. I regimi arabi ‘filo-occidentali’, che sono a loro volta autocratici, sono riapparsi in prima linea nella campagna occidentale come i portabandiera del governo rappresentativo in Siria.
Probabilmente, l’ostacolo principale sarebbe quello di ottenere un mandato delle Nazioni Unite per l’intervento occidentale in Siria. Ma l’esperienza libica dimostra che un alibi si può sempre trovare. La Turchia può essere incaricata di svolgere un ruolo in questo caso. Se la Turchia viene coinvolta, l’articolo 5 della carta NATO può essere invocato. Il nocciolo della questione è che il cambiamento di regime in Siria è fondamentale per l’avanzamento della strategia statunitense in Medio Oriente e Washington è improbabile che tolleri ostacoli dei BRICS sul suo percorso, dal momento che la posta in gioco è molto alta. La posta in gioco include l’espulsione della leadership di Hamas da Damasco, la rottura dell’asse siro-iraniano; l’isolamento dell’Iran e una spinta per il cambiamento di regime lì, l’indebolimento e declino di Hezbollah in Libano, e la riacquisizione del dominio strategico di Israele sul mondo arabo. E, naturalmente, alla radice di tutto ciò sta il controllo del petrolio, di cui George Kennan aveva detto 60 anni fa «le nostre risorse – e non loro» [degli arabi] – che sono cruciali per la continua prosperità del mondo occidentale. Sia esposto al pubblico ludibrio chi sostiene che i governi occidentali in bancarotta e i loro cittadini esausti della guerra non hanno più appetito per le guerre.
Infine, tutto questo significa, in termini geopolitici, il crollo dell’influenza russa e cinese in Medio Oriente. Un’abile propaganda occidentale ha iniziato a dipingere la Russia e la Cina come ostacoli al cambiamento dei regimi nella regione – essendo rimaste sul ‘lato sbagliato della storia’. Si tratta di un geniale sviluppo ideologico del grande successo del programma della Guerra Fredda che ha messo il comunismo contro l’Islam. Il linguaggio del corpo nelle capitali occidentali sottolinea che senza alcun dubbio gli Stati Uniti non si lasceranno sfuggire l’occasione in Siria.

EurAsia
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