Intervista a Thierry Meyssan e Julien Teil
Tripoli, ultime ore prima della caduta

IRIB 6 settembre 2011
Traduzione di Giacomo Gabellini
IRIB – I nostri colleghi del sito “Egalité et Réconciliation” hanno intervistato i giornalisti Thierry Meyssan e Julien Teil in merito alla presa in ostaggio di cui sono stati oggetto prima della presa totale della città da parte dei ribelli.
Ecco il testo dell’intervista.

Domanda: Come si è svolta la vostra presa in ostaggio, negli ultimi giorni, a Tripoli? Siete stati minacciati dai ribelli, si è parlato di arresto, di quello di Thierry specialmente, e visto il caos che regnava, penso che voi abbiate rischiato ripetutamente la morte, mi sbaglio?
Thierry Meyssan: Innanzitutto, noi non siamo mai stati presi in ostaggio o per lo meno non è così che ho percepito gli eventi. Ci siamo ritrovati bloccati all’interno dell’hotel Rixos assieme a una quarantina di persone in una situazione particolare, perché c’era un seminterrato dell’albergo sistemato con delle camere e una cucina dotato di un accesso che nessuno conosce e che è stato utilizzato da alcuni funzionari libici durante alcune fasi cruciali della battaglia di Tripoli. Quindi, quando i funzionari libici si trovavano all’interno di questo edificio la NATO non poteva bombardarlo, perché conteneva anche giornalisti della CNN, della BBC e della Fox, oltre a due inviati, una sorta di negoziatori degli Stati Uniti. Poi, quando i funzionari libici erano assenti la NATO ci ha usati come esche per farli ritornare; a quel punto, non appena avessero osato entrare negli edifici sarebbero stati immediatamente fermati. Dentro gli edifici siamo stati protetti dalle guardie libiche della Jamahiriya mentre l’albergo veniva accerchiato da alcune forze ribelli composte essenzialmente da guerriglieri islamisti di Al Qaeda sotto la supervisione, da quel che ho capito, perché non sono testimone oculare, degli ufficiali francesi.

Domanda: Quindi vi trovavate sotto il fuoco incrociato?
Julien Teil: Per quanto mi riguarda, concordo quasi completamente con la versione di Thierry, anche se in realtà nessuno di noi due ha potuto constatare con i propri occhi ciò che stava accadendo all’esterno. Siamo stati protetti dai volontari della Jamahiriya, vale a dire dalle persone che avevano interessi direttamente connessi alle ragioni evocate da Thierry: dei dirigenti libici di altissimo profilo erano entrati all’interno dell’albergo per trovare rifugio, questo è certo, ma penso anche che intendessero difendere l’albergo onde evitare che i ribelli entrassero e compissero un massacro perché nutrivano un certo rispetto per i giornalisti malgrado sapessero che molti di essi non avevano raccontato la verità; quindi, da una parte, c’erano tutti questi volontari che difendevano l’albergo e, soprattutto, facevano un gran baccano, mentre gli scontri all’esterno miravano, ovviamente, a deconcentrare le guardie che stazionavano all’ingresso che ammontavano grosso modo a 60 militari libici oltre, da quel che mi è stato riferito, a circa una decina di volontari dislocati all’interno che si sono dati ripetutamente il cambio. Ad un certo momento tutti i volontari hanno certamente lasciato l’albergo, dal momento che non abbiamo visto più nessuno al suo interno; i combattimenti all’esterno sembravano essersi interrotti, ma non appena si è cercato di guardare dal tetto, si sono immediatamente sentiti i cecchini, o meglio, si sono subito sentite delle persone che sparavano; pertanto è difficile sapere se furono i militari libici a intimorirci così da farci rientrare, per la nostra sicurezza, all’interno dell’albergo o se furono invece i ribelli a spararci contro; comunque, per quanto riguarda questi ultimi, va chiarito che si tratta di persone sprovviste, per la maggior parte dei casi, di alcun coordinamento. Ma questo mi sembra sorprendente dal momento che, come ha spiegato Thierry, uno dei volontari libici ci ha riferito che c’erano francesi, algerini, tunisini e qataresi a controllare tale operazione.

Domanda: Prima di arrivare alla seconda domanda riguardante il Qatar, avete parlato d’infiltrazioni di spie tra i giornalisti. Come è andata a finire?
Thierry Meyssan: Avevo girato un breve filmato dentro l’albergo, qualche tempo prima, per spiegare che in una situazione di guerra come questa ogni potenza cerca di insinuare i propri agenti segreti sul posto. E, naturalmente, quando si presenta la possibilità di trovare giornalisti, tutti i servizi segreti si precipitano per sfruttarla. E’abbastanza ovvio, in relazione alla generale logica di fondo. Poi, se procediamo all’analisi dei singoli casi le dinamiche, naturalmente, sono più complesse e io ho sono venuto a conoscenza d’un certo numero di cose molto precise relative al caso in questione, perché ho avuto accesso diretto ad esso; mi sono stati mostrati vari dossier informativi che ora non ho con me, perché sono soltanto stati sottoposti alla mia attenzione, per cui non farò il nome di alcuna persona in particolare perché non sono nelle condizioni, al momento attuale, di esibire prove materiali riguardanti la posizione di tali personaggi. All’interno dei dossier che ho analizzato erano presenti documenti di svariata, incredibile natura sulle connessioni tra alcuni giornalisti e i servizi di intelligence MI6, Mossad e CIA. Ho visto le schede di accreditamento della difesa segreta; ho visto i piani d’evacuazione che sono stati forniti a queste persone da una società, in particolare, che risponde al nome di “Idris” e che corrisponde alla variante britannica della “Blackwater” statunitense, installata in loco per favorire l’eventuale ritirata delle proprie spie qualora se ne fosse presentata la necessità. Ho visto tutto questo. C’erano molti giornalisti e c’erano anche delle persone piuttosto normali, ma non erano molte.
Julien Teil: Per quanto mi riguarda, all’inizio ho avvertito le stesse cose di Thierry, e secondo il mio parere la maggior parte di questi giornalisti erano in realtà degli agenti infiltrati, degli agenti sotto copertura, dei semplici negoziatori e financo degli informatori. E poi, di contro, ho sicuramente commesso l’errore di cui parla Thierry, poiché ci sono degli individui che non hanno nulla a che vedere con tutti questi apparati ma sono dei semplici giornalisti che fanno il loro lavoro, solo che lo fanno dalla sponda opposta rispetto alla nostra; e ho commesso l’errore di pensare che alla fine questi giornalisti, a prescindere da ciò che si possa pensare di loro, non rappresentassero che una sparuta minoranza. Ma poi ho parlato con Thierry e due giorni dopo ho compreso di quanto la realtà fosse più complessa di così. Non ho avuto accesso alle stesse informazioni di Thierry. Ho semplicemente constatato che questi giornalisti, mentre parlavano con noi, erano delle persone abbastanza normali molto più spaventate di quanto non fossimo noi.
Thierry Meyssan: Occorre comprendere che noi abbiamo vissuto a porte chiuse nel bel mezzo di una situazione pericolosa. Era necessario discendere nel primo seminterrato per evitare di esser colpiti dai calcinacci. Infatti, per ben otto giorni abbiamo vissuto a porte chiuse, in una condizione in cui le persone bloccate assieme a noi nell’albergo si sono scisse in diversi gruppi: c’erano, da un lato, i giornalisti atlantisti, dall’altro i giornalisti antimperialisti e in mezzo alcuni che cercavano di tenersi ai margini di questo conflitto. Quando la torre di guardia era operativa e dei nuovi volontari libici venivano a difendere l’albergo, noi spesso li conoscevamo, sapevamo di poterli salutare; li abbiamo accolti, li abbiamo abbracciati e abbiamo chiesto loro notizie relative ad altri combattenti. Pertanto, ciò avrebbe potuto suscitare un’ansia molto forte in seno agli altri giornalisti, i quali avrebbero potuto pensare che in fin dei conti noi non eravamo armati ma eravamo amici di altre persone armate di tutto punto. Inoltre, abbiamo visto alcuni individui qualificatisi come giornalisti atlantisti che godevano di un collegamento quasi permanente, via satellite, con la NATO. Quindi, noi sapevamo che se l’albergo fosse stato preso avrebbero potuto anche farci uccidere istantaneamente. Questo tipo di situazione, dove ognuno diffida e ha paura dell’altro, può degenerare molto rapidamente. Ed è veramente stata più volte sul punto di degenerare. A ciò si aggiunga il fatto che molti pericoli si sono creati in questo tipo di situazione. Io e Mahdi Darius Nazemroaya, oltre a Lezzy della Press TV, abbiamo svolto un lavoro molto visibile, sul piano mediatico, che ha messo in luce una serie di menzogne costruite ad arte e fatte circolare dall’Alleanza Atlantica: quindi, tutti e tre siamo stati considerati come elementi ostili all’Alleanza, e tra tutte le cose che sono accadute fino a quel momento, è chiaro che alcuni dirigenti militari e politici dell’Alleanza avevano preso la decisione di far eliminare non solo noi, ma anche un onesto negoziatore statunitense che si trovava lì con noi. Il pericolo non era virtuale, mi creda. A ciò si aggiunga il fatto che, da parte mia, ho profuso i miei sforzi, ed ero solo, per difendere il diritto internazionale e in questo caso mi sono sentito calpestato dall’Alleanza Atlantica in generale e dalla Francia in particolare: ho tentato di difendere il diritto internazionale e per farlo mi sono assunto alcune responsabilità nei confronti della Jamahiriya. Per questo motivo sono stato personalmente considerato un individuo che occorreva assolutamente far sparire. Per Julien e Mathieu [Ozanon], che si trovavano in quel posto, il fatto stesso di stare al mio fianco costituiva un pericolo ma, allo tesso tempo, se fossero stati soli non avrebbero trovato maggior sicurezza. Era una situazione delicata.

Domanda: Si è chiaramente trattato di un una storica operazione di messa in scena, in stile Hollywood… Tutti, al giorno d’oggi, convengono che la presa della Piazza Verde è stata realizzata, in studio, nel lontano Qatar. Anche il vertice del CNT ha ammesso alla televisione Al Jazeera che la NATO ha fatto ricorso anche a nastri audio per scatenare il panico fra i cittadini di Tripoli. Peggio ancora, nessun membro del bordello ha ritenuto necessario parlarne. Cosa avete visto sul posto, dal momento che ne parlavate prima della caduta di Tripoli?
Thierry Meyssan: In primo luogo intendo ricordare che quando ho raccontato questa storia del falso filmato che era stato girato in Qatar non sapevo cosa stessero riprendendo, ma sapevo che avevano ricostruito la Piazza Verde e Bab Al Aziya in studio e l’ho scritto prima che il video fosse fatto circolare; ho visto , ancora una volta, i giornali come “Marianne” farsi beffe del fatto che io scrivessi queste cose, ma gli eventi mi hanno dato tristemente ragione. Dall’inizio di questa guerra, molte delle cose che sono state dette e molte delle cose che avete visto alla televisione sono false. Il fatto di vedere non è sufficiente poiché, per come funziona il sistema al giorno d’oggi, siamo in grado contestare un rilevante numero di cose che sono state fatte circolare e credere in tutto il mondo; specificamente noi contestiamo risolutamente la storia dei massacri che avrebbero avuto luogo a Bengasi, agli inizi. Tutto questo è falso, assolutamente falso. E ho cercato di spingermi oltre. Penso che la stampa sia qualcosa di essenziale a qualsiasi forma di democrazia. In assenza di libertà d’espressione non è possibile parlare di democrazia. Ma se questa libertà d’espressione è distorta al servizio della guerra, allora l’intero sistema è falsato. Così, ho spinto la Jamahiriya a perseguire degli obiettivi che, evidentemente, non possono essere portati a termine ora, poiché, contrariamente a quanto riportato dalla CNN, lo Stato è crollato dopo una serie di falsi resoconti e in aperta violazione di tre risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che sono state adottate all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, che assimilano la propaganda di guerra a un crimine contro la pace, che affermano che la grande responsabilità dei giornalisti che hanno distorto volontariamente l’informazione (e non quanto hanno semplicemente commesso degli errori) debba essere commisurata alle conseguenze connesse alle proprie falsificazioni e contraffazioni, compresi i crimini di guerra e contro l’umanità, come risultato della loro azione mistificatoria.
Julien Teil: Avendo studiato a strettissimo contatto con Mathieu i documenti della Corte Penale Internazionale, conosco quelli che sono stati usati come prove; tali documenti riassumono un certo numero di eventi che ci sono stati presentati come reali. In allegato a questi documenti troviamo circa otto tipologie di prove. E’ molto importante notare che tutte le prove che sono state apportate sono classificabili nella seguente maniera: da una parte, ci sono le prove pubbliche che sono nella maggior parte dei casi riportate dai media e ci sono le prove inedite, che sono testimonianze di cui non viene mai ripreso il contenuto. Il documento della Corte Penale Internazionale è composto da 90 pagine e la metà è stata censurata…
Famose testimonianze! Le definiscono prove, laddove sono articoli della stampa legata alla CNN e a Al Jazeera, tra i quali ne spiccava uno di non ricordo quale organo informativo il cui titolo era “I russi intendono installare una base in Libia”; occorre insorgere, se la giustizia internazionale funziona in questo modo e un semplice articolo di stampa riguardante le relazioni internazionali tra due paesi viene consacrato come prova di un crimine contro l’umanità, è una cosa molto grave. A ciò vanno sommate anche le numerose dichiarazioni delle ONG che si occupano di diritti umani e denunciano crimini e violazioni, ma non è possibile considerare i loro rapporti come prove effettive. La testimonianza resa da una ONG finanziata dalla National Endowment for Democracy, che funge da braccio armato della CIA, per favorire l’installazione dei regimi graditi agli Stati Uniti non può essere considerata alla stregua di una prova. Questa propaganda mediatica ammanta con una maschera di legalità ciò che è stato compiuto contro lo Stato libico e i suoi funzionari.

Domanda: C’è da domandarsi se siano rispettati i diritti degli uomini e dei funzionari di Stato nel quartiere di Abou Salim, dal momento che sono stati massacrati assieme a numerosi neri, come si è visto dalle immagini. Cosa pensate di questo comportamento?
Thierry Meyssan: In primo luogo, occorre puntualizzare cosa sia stata la presa di Tripoli. Il rapporto delle forze interne, in Libia, è assai controverso; non abbiamo delle statistiche precise, ma durante gli ultimi mesi i libici hanno indubbiamente accordato un sostegno massiccio al loro governo, cementato dall’assoluta ostilità nei confronti dell’intervento straniero. Tuttavia, gli eventi di cui siamo venuti al corrente riguardano due gruppi principali: da una parte c’era l’opposizione tradizionale tra Cirenaica, regione di Bengasi e resto della Libia. Si potrebbe agevolmente concepire, sulla base di queste differenze regionali, una ripartizione del paese. La tribù di Misurata ha giocato un ruolo particolare poiché è la prima ad essere entrata a Tripoli prima che la battaglia fosse combattuta non dai ribelli, ma dalla coalizione che corrisponde alla NATO e all’esercito del Qatar, che ha svolto le operazioni di terra. Solo a battaglia militare terminata quelli comunemente definiti “ribelli” sono entrati. E’ stata la tribù di Misurata ad aver ottenuto, in passato, i maggiori privilegi in Libia. Tutti concordano nel ritenere che si tratta dell’ultima tribù ad avere qualcosa da rimproverare al regime. I suoi membri hanno un storia che segue una particolare logica: si tratterebbe di ebrei turchi fuggiti dal loro paese e convertiti all’Islam. Quando sono arrivati a Tripoli, essi si sono impadroniti di tutto ciò che hanno trovato. Tutto ciò che potevano requisire hanno requisito; inizialmente si sono dedicati ai saccheggi, poi hanno dato vita a una vera e propria caccia nei confronti dei cittadini di pelle nera, uccidendo tutti quelli che incontravano. Si tratta di un fenomeno radicalmente razzista, che non trova alcun’altra spiegazione. Esistono anche dei documenti in cui si ammette che quella dei mercenari africani al soldo del governo era una falsità utilizzata come pretesto per spiegare il fenomeno razzista. Se c’erano dei neri per strada li si uccideva. L’area boscosa a fianco dell’hotel Rixos in cui ci trovavamo era completamente ricoperta di cadaveri di neri uccisi unicamente per via del colore della loro pelle.
Julien Teil: Allora, io aggiungere qualche cosa in più: Amnesty International, la ONG atlantista che ha tuttavia dimostrato di aver mantenuto un certo livello di obiettività, ha inviato in loco, dal mese di aprile fino a luglio (direttamente da Londra), Donatella Rovera che nel corso di svariate dichiarazioni ai media ha chiaramente spiegato le dinamiche della situazione. Ha riferito che la storia, riportata più volte dai media, dei mercenari di Gheddafi era integralmente inventata. Egli non aveva mai avuto dei mercenari a propria disposizione. Non li ha mai ingaggiati perché godeva di un forte appoggio popolare trasformatosi nei mesi in un immenso volontariato di massa, a Tripoli specialmente, dove ha distribuito circa 2 milioni di armi alla popolazione; questa propaganda serviva, in realtà, a giustificare le azioni dei mercenari di Misurata. E’ una parte della propaganda mediatica. Anche io ho creduto a questa menzogna, per i primi 15 giorni.

Domanda: L’Algeria parla di un documento segreto firmato dal CNT, riguardante un progetto relativo alla cessione del 35% del petrolio alla Francia cui è legato l’assassinio del Generale Younes.
Thierry Meyssan: Non penso affatto. La guerra contro la Libia è stata decisa da 10 anni, per dei motivi che non hanno nulla a che vedere né con il regime politico né con la politica estera portata avanti dal governo di Tripoli. Il primo obiettivo era quello di rimodellare l’assetto geopolitico nordafricano sulla falsariga del “Grande Medio Oriente”. Il secondo obiettivo era quello di installare una base militare statunitense dell’Africom, in modo da garantire agli Stati Uniti, per il secolo a venire, delle risorse petrolifere e da questo punto di vista, si può affermare che questa guerra è una vittoria per coloro che avevano immaginato tutto ciò da un decennio, mentre costituisce un fallimento per tutti gli imbecilli che si solo lasciati imbarcare in questo conflitto senza comprendere che si sarebbero ritrovati macchiati di sangue, senza comprendere nemmeno come. La posizione assunta dalla Francia, in questo ambito, di richiedere una retribuzione in idrocarburi in cambio del contributo reso da Parigi a questo massacro è alquanto grottesca e disgustosa.
Julien Teil: Io aggiungerei che, come abbiamo annunciato, avranno luogo degli eventi il prossimo 17 settembre in Algeria, e dovremo diffidare delle ricostruzioni che ci racconteranno di dirigenti politici che sparano sulla folla; questa volta occorrerà prendere coscienza del fatto che non sarà vero. Noi sappiamo che tra il CNT e il governo algerino si sta instaurando una immensa discorda, e inoltre che tutte le armi che circolano attualmente in Libia sommate a quelle della Francia e del Qatar che passeranno attraverso le solite reti, “AQMI” [Al Qaeda au Maghreb Islamique] in particolare, daranno luogo a un enorme traffico d’armi che transiteranno attraverso l’Algeria. Prevedo che l’Algeria si troverà ad affrontare un futuro molto cupo. Speriamo che gli algerini traggano i debiti insegnamenti dal loro recente passato, e che i 100.000 morti civili caduti nell’arco temporale che si estende dal 1992 al 2002 permettano loro di evitare di cadere nella trappola.

EurAsia
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