Paraguay: un Paese in balia dell’incertezza

William Bavone 23 giugno, 2012
*William Bavone è laureato in Economia Aziendale (Università degli Studi del Sannio, Benevento)
Nella notte tra il 22 e il 23 di giugno ad Asunciòn si è materializzato quanto temuto nei precedenti giorni: il presidente paraguaiano Fernando Lugo è stato destituito dal voto del Senato (39 voti in favore dell’atto e 4 contrari) ed al suo posto si è insediato Federico Franco.

Motivazioni
Lugo è stato destituito per la grave accusa di “inettitudine e mancanza di decoro” ossia è stato riconosciuto responsabile dell’aumento della violenza nel Paese, che ha raggiunto il suo apice negli scontri del 15 giugno a Curuguaty dove hanno perso la vita 17 persone – 11 civili e 6 poliziotti. Gli scontri nello specifico vedevano contrapposti contadini e forze dell’ordine a causa di un ordine di sfratto nella tenuta Murumbi (circa 2 mila ettari). Si evince quindi il ripetersi di una problematica di fondo, molto consueta nell’America Latina: la proprietà latifondiaria contrapposta alla richiesta di terreni da coltivare da parte di piccoli agricoltori. Tale criticità appartiene ad Argentina, Brasile, Venezuela e a tutti gli altri Stati della Regione che pongono – chi più e chi meno – come prioritario il dialogo con le associazioni contadine dei Sin Terra. Ogni Stato applica dei programmi di redistribuzione delle terre coltivabili per far fronte all’esigenza. Va comunque riconosciuta la difficoltà oggettiva del meccanismo in parte lento nella sua attuazione, in particolare occorre interpretare di non facile soluzione il costante dialogo con l’elite latifondiaria che molto spesso fa capo a vere e proprie multinazionali. Qui ha un gran peso la tipologia della politica insita nel governo di ogni singolo paese. Si evincono a tal proposito tre distinte politiche:
- Il populismo dell’attuale amministrazione venezuelana o boliviana, per esempio. In tale condizione politica si bada poco all’aspetto diplomatico e si punta dritti all’obbiettivo strategico, senza minimamente prendersi cura delle ripercussioni esogene dell’atto stesso. Tale politica fonda tutta la sua forza sull’approvazione endogena, costruendo di conseguenza un’approvazione nelle fondamenta del tessuto sociale nazionale. A livello esogeno, tuttavia, vengono generati attriti politico-economici per via della destabilizzazione del concetto globale di alcune economie: il mercato esiste perché alcune risorse risultano disponibili in maniera limitata, quindi detenerne la fonte equivale ad una garanzia dominante sul mercato stesso. Spostare tali equilibri e farlo in modo brusco vuol dire generare forti malumori, specialmente in chi era abituato a dare per scontato il possesso di tali risorse;
- La politica diplomatica del Partido de los Trabajadores e del Frente para la Victoria, per fare due esempi relativi al Brasile e all’Argentina. Questi movimenti volgono il loro sguardo contemporaneamente all’aspetto esogeno ed endogeno della politica. In definitiva cercano di creare un equilibrio tra i rapporti esterni ed i rapporti con l’elettorato. Dal punto di vista nazionale vengono posti in essere progetti pluriennali – a volte lenti e macchinosi come quello dell’esproprio dei terreni in favore dei sin terra – volti ad ottemperare al principale onere del loro mandato: la risoluzione diretta delle problematiche economico-sociali della popolazione. Interessante come esempio a tale proposito è il programma brasiliano “Fame Zero”. Dal punto di vista internazionale si tende, in linea di massima, a non porsi come antagonisti, ma quali interlocutori di tutto rispetto. E’ il caso del Brasile, che mediante tale strategia politica – accostata ad un’attenta gestione economico-sociale – si è ritagliato uno spazio di tutto rispetto nel dialogo internazionale. Tale percorso è stato possibile grazie ad una non chiusura verso gli attori internazionali dominanti o pseudo tali – a tal proposito sottolineiamo che all’inizio del Governo Lula (2003) non vi fu alcun brusco arresto al dialogo con il FMI, bensì una cooperazione allo sviluppo. Un po’ più spigolosa risulta la politica argentina che altalena la sua politica tra populismo e diplomazia, ma senza distrarsi dalla ragione della sua stessa esistenza: il popolo e le sue esigenze;
- La terza politica riscontrabile nell’emisfero indiolatino è quella dedita all’implementazione degli aspetti esogeni e che focalizzano sul PIL ogni valutazione endogena. Tra gli Stati appartenenti a tale orientamento si annoverano il Cile – schiavo di una Carta Costituzionale firmata da Pinochet – e la Colombia che volge ostinatamente il suo sguardo a nord (così come il Messico) ed in base a ciò orienta le proprie scelte economiche, politiche e sociali. In poche parole si parte dall’esterno per poi operare all’interno. Per fare due altri esempi di tale orientamento politico citiamo Panama e Haiti, due nazioni condannate dalla loro collocazione strategicamente rilevante e pertanto “costrette” a sacrificare l’aspetto endogeno, per soddisfare le pressioni esogene.
Ai margini di queste macropolitiche esiste tutta una serie di Paesi che, per via di una sussistente arretratezza economica, cercano sodalizi con i blocchi che ritengono strategicamente rilevanti. Tra questi figura il Paraguay, che ha orientato la propria strategia verso la latinoamericanità legando le proprie speranze al blocco dell’Unasur, almeno sino a ieri. Il paradosso della destituzione di Lugo, che rende meno chiara la stessa accusa, è che i primi a protestare sono stati gli stessi agricoltori – secondo le accuse trascinati nella violenza per colpa dell’inoperatività di Lugo. Quindi le accuse sembrano cadere; in ogni caso, la sovranità popolare si è espressa a favore della continuità dell’esecutivo. L’inconsistenza dell’accusa è stata da tempo percepita dalle altre Nazioni latinoamericane e dalle popolazioni, che immediatamente hanno manifestato in ogni metropoli latinoamericana il proprio disappunto nei confronti del colpo di Stato “morbido” verificatosi in Paraguay.

Il golpe “morbido”
Con tale definizione intendiamo evidenziare una netta differenza rispetto al colpo di Stato classico. Il golpe è, di per sé, la destituzione di un governo mediante un’azione di forza – spesso per mano militare – volta a instaurare un regime dittatoriale o per lo meno un potere fortemente accentrato nella massima autorità. Il golpe “morbido”, che sembra configurare una nuova metodologia di destituzione di un governo, applica azioni più “democratiche” ed “al passo con i tempi”. Un golpe puro oggi sarebbe fortemente criticato dalla comunità internazionale – anche dai suoi stessi patroni occulti – e quindi non avrebbe alcuna possibilità di affermarsi e consolidarsi in ambito internazionale. Oggi, ed è un’operazione consolidata ed efficace, si adotta una destabilizzazione istituzionale più lieve ed inattaccabile dalla comunità internazionale: si sfrutta la legge cogliendo l’occasione che si presenta, reale o artificiale che sia. Il golpe “morbido” consiste nell’impugnare l’esito di un’elezione riscrivendone il risultato (ad es. Costa D’Avorio); oppure coglie l’occasione di una protesta per mettere sotto scacco un’amministrazione (Paraguay?); o ancora – magari con una collaborazione esterna – sfrutta la divisione etnica, religiosa o razziale fomentando una divisione artificiosa della società civile, che a sua volta si riversa contro le istituzioni (Libia, Siria, Sudan). In definitiva, il soft-golpe non subisce la condanna esogena – o non del tutto – perché rispecchia i criteri “democratici”, magari assecondando gli interessi extranazionali.

Unasur e America Latina
Il golpe “morbido” paraguaiano però non può ottenere l’indifferenza delle popolazioni e delle istituzioni più prossime al Paese. L’Unasur ha preso subito le distanze dalla nuova formazione governativa di Asunciòn, non riconoscendone la legittimità. I risvolti non sono di scarso rilievo: la stessa Unasur sta valutando seriamente la possibilità di estromettere il Paraguay dall’Unione delle Nazioni Sudamericane – e di conseguenza sarà difficile vedere in seno al CELAC un approccio sereno con Federico Franco o con chi per lui. Ma molti capi di Stato hanno espresso il loro personale disappunto nei confronti della destituzione ed hanno affermato di non riconoscere il nuovo governo. Non sono cose trascurabili: Brasile, Argentina, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Costa Rica hanno subito preso le distanze ed ovviamente lo faranno anche altri nella regione.

Economicamente e strategicamente cosa vuol dire?
Il Paraguay indubbiamente si ritroverà più solo nella sua regione, stretto tra i colossi argentino e brasiliano, che non mancheranno di far sentire la loro pressione economica e politica. D’altra parte si ritornerà a parlare, presumibilmente, di rapporti bilaterali con Stati poco o per nulla allineati al pensiero bolivariano. Ma la bilateralità è un concetto che piace molto alla politica estera degli Stati Uniti che potrebbero porgere – se non è già avvenuto fino ad ora nei confronti dell’opposizione di Lugo – la loro mano economica ad Asunciòn. Non si tratta di un’azione insensata. Vista la collocazione geografica del Paraguay, offrire un sostegno economico vorrebbe dire collocare una pedina importante tra il Re e la Regina dell’America Latina – in un’ottica di partita a scacchi globale – non sicuramente piacevole per i diretti interessati (Brasile e Argentina).

Destituzione e prospettive
L’attuale presidente del Paraguay è Federico Franco, che durante la presidenza Lugo ricopriva la carica di vicepresidente. La sua ascesa è stata favorita da un cambiamento ideologico radicale che lo ha condotto da sostenitore di Lugo a suo più forte oppositore. Il Senato si è palesemente schierato a favore della destituzione, in quanto controllato totalmente dall’opposizione al governo destituito. In tale situazione politica, qualsiasi capo di Stato nei panni di Lugo non avrebbe avuto vita facile, né tanto meno una prospettiva di medio o lungo termine. L’ormai ex presidente lascia una situazione critica dal punto di vista interno, difficile da invertire dall’oggi al domani. Il Paraguay necessita di una ricostruzione economica interna per poi potersi riproporre in ambito internazionale. Ciò che appare al suo orizzonte è stato illustrato nei precedenti due paragrafi e qui sinteticamente riproposto:
- Franco potrebbe, ed è l’ipotesi più plausibile, reimpostare le strategie paraguaiane in un’ottica statunitense, assicurandosi flussi di capitale non indifferenti nel breve periodo e sacrificando ulteriormente lo sviluppo endogeno del Paese (ossia dell’intera collettività e non di parte di questa);
- Franco potrebbe non reggere alle pressioni dei governi vicini – pressioni politiche ed economiche – ed in un clima di forte instabilità sociale potrebbe indire nuove elezioni per riconsegnare la sovranità nelle mani del popolo paraguaiano.
Nell’arco di sei mesi ogni scenario potrebbe essere più delineato e leggibile1.

Note:
1. Durante la stesura dell’ultimo paragrafo del presente articolo, Maximiliano Barreto – stagista di Eurasia – ha posto alla mia attenzione il seguente collegamento, che vale come approfondimento al paragrafo “Economicamente e strategicamente cosa vuol dire?

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